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Май
2022

Slogan e rivolte anti-censura, gli Urali patria dei dissidenti

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Slogan e rivolte anti-censura, gli Urali patria dei dissidenti

Raffica di manifestazioni contro la guerra e decine di arresti. Il governatore Kuyvashev: «Siamo dotati di pensiero critico»

Le eleganti t-shirt e shopper nere con la scritta «Centro di ripugnante liberalschifo» sono già il trend dell'estate a Ekaterinburg. Nessuno sa chi le produce: il sito It's My City ha intervistato il loro inventore a condizione dell'anonimato. Ha raccontato di aver inventato il design ascoltando il famigerato propagandista putiniano Vladimir Solovyov, che ha accusato la sua città di essere un covo dei nemici del regime, di «ripugnante liberalschifo»: «Prima ho riso, poi ho capito che volevo una maglietta con quella frase». Chiedere aiuto alla sorella creativa, e mettere in rete il design perché chiunque se lo possa scaricare e riprodurre è stata questione di poche ore. Ekaterinburg, Ekat, come lo chiamano i suoi abitanti più giovani, ha i riflessi rapidi: la città si è già riempita di adesivi rossi con la frase del propagandista, esibiti su finestre e grondaie a metà tra scherno e orgoglio.

La capitale degli Urali ha indossato l'accusa di Solovyov quasi come un complimento. Del resto, è qui che tuttora scendono in piazza contro la guerra più persone che in qualunque altra città russa (tranne le due capitali Mosca e Pietroburgo): in tre mesi, gli arrestati sono decine, di ogni genere ed età, dalla giovane madre Nadezhda Saifutdinova, che ha fatto ricorso a una protesta estrema come quella di cucirsi la bocca per rappresentare la censura, alle due ottantenni Galina Bastrykina e Svetlana Moleva, fermate dalla polizia per cartelli che inneggiano alla pace e alla libertà di espressione. È a Ekat che gira tuttora miracolosamente a piede libero Evgeniy Roizman, l'unico sindaco indipendente eletto da una grande metropoli russa nel ventennio putiniano: l'ex primo cittadino appoggia apertamente Alexey Navalny e denuncia la guerra con il linguaggio irriverente che lo ha reso famoso. È nel capoluogo degli Urali che Aleksandr Antonov corre una maratona con la maglietta col tridente ucraino, e si prende pure il 54% di solidarietà nei sondaggi. È qui che ogni giorno partigiani invisibili lanciano nel cielo palloncini nei colori dell'Ucraina, mettono nel fiume di una flottiglia di barchette con scritto “No alla guerra”, o strappando il banner con la Z sulla fiancata dell'università dell'architettura.

È stato proprio il banner ad aver fatto scatenare Solovyov, forse perché ha suscitato una protesta non solo clandestina, ma organizzata, con nomi, cognomi e 580 firmatari che hanno chiesto di toglierlo, in quanto «si tratta di un gesto politico fatto a nome dell'università, senza aver consultato gli studenti», come ha dichiarato Olga Yakimova, l'organizzatrice della lettera aperta. Olga è considerata un'attivista di Navalny, ed è stata minacciata di espulsione insieme agli altri firmatari, mentre non si sa molto della sorte delle decine di studenti dell'università federale degli Urali, che hanno abbandonato in massa una lezione di indottrinamento sulla guerra. Una propaganda ormai quasi obbligatoria in molti atenei, come denuncia il giornale online degli studenti Doxa, ma solo a Ekaterinburg i ragazzi hanno avuto il coraggio di lasciare l'aula, e di riprendere l'esodo, silenzioso e sdegnato, con il telefonino.

Per molti intellettuali delle ultime generazioni Ekat è la vera capitale della Russia reale, lontana dai soldi, dai lussi e dagli intrighi di Mosca e Pietroburgo. Una città industriale e sovietica – qui si trova il gigantesco Uralvagonzavod, la fabbrica preferita da Putin, dove oggi si procede al rimessaggio frettoloso di vecchi carri armati da inviare in Ucraina –, che però ha saputo reinventarsi come capitale del rock, della birra artigianale e dell'attivismo civico, grazie anche alle mostre e ai convegni al liberale Eltsin-zentr. Il primo presidente russo era stato il capo comunista della città quando si chiamava ancora Sverdlovsk, ma ne incarna bene il lato ribelle, e Solovyov ha indicato esplicitamente il centro a lui dedicato come “nido dei traditori”. Ottenendo però una reazione molto pesante del governatore Evgeniy Kuyvashev, che ha invitato il propagandista a «stare attento a quello che dice», difendendo l'onore dei suoi concittadini, «coraggiosi, liberi, intelligenti e dotati di pensiero critico».

Una risposta che apre una delle prime crepe in quello che da fuori appare un establishment monolitico. I deputati del consiglio regionale – quasi tutti del partito putiniano Russia Unita – scrivono infatti alla TV di Stato chiedendo una museruola per Solovyov, che per ripicca apre un sito dove denunciare «attività antirusse» negli Urali, e si merita l'insulto del “neonazista” dal pugile olimpionico Egor Mekhonzev. Nel frattempo i propagandisti moscoviti contano le volte (poche) in cui il governatore Kuyvashev ha appoggiato la guerra in pubblico, e accusano i dissidenti di essere i veri colpevoli dei roghi forestali (il capo della rete di Navalny, Leonid Volkov, viene da Ekaterinburg). Non è più uno scontro tra governo e dissidenti, ma uno scontro interno al regime, che gioca col fuoco in una città che negli anni '90 sognava di diventare il centro di una “repubblica degli Urali” che si sarebbe allontanata da Mosca.





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