Di Maio avvisa la Russia: “Basta provocazioni contro i media italiani”
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Il ministro interviene nel caso della denuncia archiviata contro La Stampa. La Procura: nessuna comunicazione era dovuta all’ambasciata di Mosca
«Non accettiamo lezioni di giornalismo da chi, nel proprio Paese, non permette ai cittadini di manifestare liberamente o ai giornalisti di parlare di guerra».
In una lettera a La Stampa il ministro degli Esteri Luigi Di Maio interviene sul caso della denuncia presentata contro il nostro giornale dall’ambasciatore russo Sergey Razov, archiviata dalla procura di Torino e diventata motivo di nuovi attacchi da parte della portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova.
«La Stampa sta informando il Paese – ha scritto Di Maio - e sta raccontando, anche con giornalisti sul campo che rischiano la vita, le atrocità di una guerra che Putin sta portando avanti senza scrupoli». Ancora: «La Stampa sta descrivendo, senza censure e senza storture, le crudeltà commesse dall’esercito russo in Ucraina. Questa è libertà, questa è democrazia. Questo è giornalismo. Qualsiasi provocazione rivolta ai media italiani, con l’intento di screditare il nostro Paese, è da rispedire al mittente. Non sono tollerabili ulteriori attacchi - ha scritto il ministro - a chi con professionalità svolge il suo lavoro».
Dopo aver letto sul nostro giornale dell’avvenuta archiviazione della querela, Zakharova aveva paragonato gli standard della democrazia e della giustizia italiana al fascismo. Precisando – nel parlare sarcasticamente di miracolo – come «la Russia non ha ricevuto una risposta ufficiale (dal Tribunale, ndr) alla querela depositata dall’ambasciatore. Alle nostre autorità non è arrivata alcuna comunicazione».
Per la procura non gli era dovuta. In calce alla richiesta di archiviazione da qualsiasi accusa mossa a La Stampa dall’ambasciatore russo, secondo il quale un articolo di Domenico Quirico avrebbe istigato all’omicidio del presidente della Federazione russa Vladimir Putin, è lo stesso capo dei pm torinesi a disporre «che non si dia alcun avviso al denunciante, nonostante la richiesta, trattandosi di reati contro l’ordine pubblico».
È questione di procedura penale, spiegabile. La denuncia dell’ambasciatore Razov, archiviata in via definitiva quattro giorni fa dal giudice delle indagini preliminari Giorgia De Palma, ipotizzava il reato di istigazione a delinquere. Escluso sia dai magistrati requirenti che da quelli giudicanti.
Si tratta di una (asserita, da Razov) condotta in cui la procura non ha identificato alcuna parte offesa. E – fatto tesoro di questa prevalente premessa - certo non lo può essere (e non lo è secondo il magistrato che ha svolto l’istruttoria sul caso) l’ambasciata russa.
Non coincidendo querelante e potenziale parte lesa, Razov non aveva diritto a conoscere la richiesta di archiviazione perché l’ambasciata non è titolare dell’interesse che, in ipotesi del denunciante, sarebbe stato leso. Tutto ciò, al netto del merito della questione. E cioè che – per citare i magistrati – «l’articolo di Quirico alla luce del principio costituzionale di necessaria offensività, non turba la sicurezza pubblica né è concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti».