Stipendi, serve un Patto anti-inflazione. Aumento doppio per chi guadagna meno
Alzare le paghe per tutti è un rischio e mancano risorse per un taglio choc del cuneo. meglio un «accordo sociale di compressione salariale» per evitare un autunno caldo
L’incontro di domani tra le parti sociali e il governo Draghi è pieno di temi e aspettative. L’inflazione all’otto percento ha chiaramente eroso il potere d’acquisto dei lavoratori e i sindacati si aspettano giustamente dal governo risposte concrete e immediate. Aumentare oggi i salari indiscriminatamente per tutti purtroppo è poco fattibile per le imprese, rischierebbe di non curare l’inflazione e finirebbe invece per facilitare una spirale perversa tra prezzi salari. L’Istat ha anche certificato in questi giorni che in Italia esistono più di 5,5 milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà. I temi che il governo porterà ai sindacati riguardano il salario minimo, il taglio del cuneo fiscale e più in generale le condizioni dei lavoratori a basso salario. Le misure allo studio sono importanti, ma vi è il serio rischio che il risultato finale deluda le aspettative e non risolva il malessere sociale strisciante.
Come ha sostenuto ieri nella sua intervista a Lucia Annunziata Maurizio Landini, in queste condizioni non si possono escludere grandi proteste sociali in autunno. Massimo Giannini ci ha anche ricordato che simili proteste sociali sono già esplose in molte capitali europee. La situazione è oggettivamente seria e serve uno scatto d’orgoglio e di senso di responsabilità che coinvolga tutto il Paese.
Il compromesso che il Ministro del Lavoro Orlando proporrà sul salario minimo potrà forse accontentare i leader sindacali, ma difficilmente riuscirà a risolvere i problemi dei vari lavoratori poveri, quasi sempre esclusi dalla contrattazione salariale. L’idea del ministro pare essere quella di non fissare un semplice livello salariale orario al di sotto del quale è vietato remunerare un lavoratore. Non si parla quindi di fissare un salario di otto o nove euro all’ora valido per tutti i lavoratori nazionali.
Il governo intende invece fissare un minimo livello stipendiale in diversi settori (includendo quindi anche ferie e permessi) coerente con i contratti nazionali maggiormente rappresentativi. Questo salario minimo in salsa italiana aiuterà forse a ridurre l’esplosione dei cosiddetti contratti nazionali “pirata” sottoscritti da sigle sindacali semi fantasma, ma non risolverà il problema dei salari da fame- spesso intorno ai cinque euro orari- che purtroppo colpiscono i lavoratori precari più giovani e più in generale la platea dei “working poors”.
La seconda misura di cui si è spesso parlato in questi giorni riguarda il taglio del cuneo fiscale, la differenza tra il costo del lavoro aziendale e il salario netto percepito dai lavoratori. Ridurre le tasse sul lavoro, spostandone l’onere sulla collettività, sarebbe una manovra coraggiosa. Si è parlato di un intervento di 15 miliardi di euro, corrispondente a quasi un punto di prodotto interno lordo. Il problema è che le risorse sono poche e i partiti di maggioranza non sono disposti a spostare l’onere fiscale verso altre fonti di entrata, quali i beni immobili o le rendite finanziarie. Inoltre, i leader di Confindustria e sindacati pretendono che il taglio fiscale vada a beneficio esclusivo dei loro iscritti. Le imprese sostengono che con quel taglio si tornerebbero a investire mentre i sindacati lo rivendicano come compensazione per la perdita di potere d’acquisto.
Il vero rischio è che alla fine - per non scontentare nessuno - il governo partorisca una misura relativamente piccola e non sufficiente a soddisfare imprese e lavoratori. In queste condizioni serve invece una grande sforzo di concertazione e solidarietà nazionale verso i lavoratori a più basso livello di retribuzione, i più colpiti dall’odiosa inflazione. Una semplice idea potrebbe essere quella di proporre alle parti sociali un grande accordo di «compressione salariale». La base di partenza sarebbe quella di accettare che gli aumenti salariali dei nuovi contratti siano più alti per i lavoratori con qualifiche inferiori, sia nel settore pubblico che nel settore privato. Il contratto nazionale di ogni comparto - invece che ragionare su un aumento medio della retribuzione - potrebbe decidere di riconoscere ai lavoratori con retribuzione inferiore un aumento doppio rispetto a quello dei lavoratori con retribuzioni e qualifiche più elevate.
Il Governo - al tempo stesso - potrebbe riconoscere una riduzione del cuneo fiscale superiore per le retribuzioni inferiori. Si chiede quindi uno sforzo di solidarietà alle imprese e ai lavoratori maggiormente retribuiti. Le imprese sosterranno che un tale patto sociale ridurrà gli incentivi individuali per raggiungere retribuzioni superiori e non aiuterà la produttività. Sono argomenti seri, ma ci auguriamo che prevalga il senso di responsabilità e urgenza. Anche se un patto biennale di «compressione salariale» non risolverebbe tutti i problemi dell’economia italiana, potrebbe costituire un rilancio della concertazione e un passo nella giusta direzione per evitare che il malessere sociali sfoci in vere e proprie proteste autunnali.