Medici introvabili e lunghe attese: tutti i nodi della sanità pubblica
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Il direttore del dipartimento di area medica dell’Azienda sanitaria universitaria, Leonardo Sechi: dalle cure inappropriate alla formazione, sistema da rifondare
UDINE. Il 70 per cento degli accessi ai Pronto soccorsi sono inappropriati, molte visite specialistiche vengono prenotate anche se non strettamente necessarie, mancano medici e per formarli servono almeno sei anni, ma i giovani non scelgono le specializzazioni che richiedono il loro impegno nei servizi di emergenza.
Queste sono solo alcune delle criticità analizzate dall’assessore regionale alla Sanità, Riccardo Riccardi, e dal direttore del dipartimento di area medica dell’Azienda sanitaria universitaria, Leonardo Sechi, nel corso della presentazione del master in “Salute e umanizzazione nell’organizzazione e gestione del Servizio sanitario nazionale” attivato dall’università degli studi di Udine.
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La fuga dei sanitari verso le strutture private non si arresta e le borse di specializzazione vengono restituite allo Stato. In queste condizioni il sistema sanitario pubblico non regge e secondo Riccardi «va rifondato». Ma per svuotare i Pronto soccorsi le strade percorribile sono pochissime: «La paura come ai tempi della pandemia o i soldi» sostiene Sechi estremizzando i concetti.
A suo avviso bisognerebbe far «pagare i triage di basso livello (codici bianchi) ai pazienti o eliminare la quota capitaria ai medici di medicina generale che non hanno visto la persona sul territorio».
E se questa è l’unica cura possibile, la domanda posta da Sechi non può che essere: «Qual è il politico che ha il coraggio di fare queste cose?» la risposta è stata: «Nessuno».
La fotografia scattata mercoledì 7 giugno è figlia di programmazioni mancate nel passato, errate e assenti, certo è che oggi non lascia vie di scampo.
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Appropriatezza delle cure
Il primo a parlare di appropriatezza delle cure è stato Riccardi, ricordando che in sanità il problema economico e finanziario è secondario. «Il nostro sistema con percorsi inappropriati, dà risposte che sono due o tre volte di quelle che dovrebbero essere garantite sottraendo capacità di risposte a chi realmente ne ha bisogno» ha spiegato Riccardi non senza ricordare che «la fuga del sistema sanitario è generato dal “quanto mi paghi”, il Paese corre a una velocità diversa dalla risposta dei servizi pubblici «figlia della necessità di ottenere consensi, rendite di posizione e rapporti sindacali che spesso confliggono».
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Liste d’attesa
Se si considera che «il 70 per cento di chi accede alle strutture di emergenza non ha una situazione di emergenza e che questo fatto fa dilatare la spesa, le liste d’attesa sono un tema marginale. Il problema – spiega Sechi – non è garantire la risonanza a chi si è fatto male giocando a tennis, bensì quelli che occupano le visite specialistiche per fare i piani terapeutici, un atto cartaceo. Il problema è dare l’assistenza alle persone nelle sedi opportune».
Sechi chiama in causa l’assenza dei servizi territoriali e i medici di base «privati della loro competenza clinica perché sovracaricati di atti burocratici». Il fatto che i medici di famiglia ricevano su appuntamento solo in certe ore, favorisce gli accessi ai Pronto soccorso. Il sistema sanitario sconta il fatto, ripete Sechi, di «non dare l’assistenza alle persone nelle sedi opportune».
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La fuga nel privato
«A Udine si sono dimessi 7 radiologi e stanno lavorando nel privato. La medicina privata che purtroppo è diventata una soluzione obbligata non dà le risposte che risposte». Sechi ha insistito su questo tema ricordando che «nessuna struttura privata fa rianimazione e garantisce l’emergenza in Pronto soccorso, la sanità privata si occupa di attività remunerative».
Questo per dire che «in un sistema complicato si butta tutto in ospedale, da dove i medici scappano per andare in strutture dove non fanno turni. «Quando le cose sono così storte – ha concluso Sechi – perché manca il personale e ci sono correttivi da fare, chi lavora nell’emergenza andrebbe tutelato non dandogli più soldi, ma creando un conteso in cui fanno il loro lavoro con dignità».
Ecco un esempio calzante: «Oggi un medico al pronto soccorso si ritrova a togliere le zecche ai pazienti, cosa che dovrebbero fare sul territorio, e a soccorrere gli infartuati». —