Inchiesta case popolari a Treviso, contestata anche l’accusa di falso
Sta andando verso la conclusione l’inchiesta sulle case popolari che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di funzionari, dipendenti e assegnatari, per lo più di etnia rom.
Non si contestano, a vario titolo, soltanto i reati di corruzione, abuso d’ufficio e omissione d’atti d’ufficio.
Ma ora anche quello di falso ideologico che potrebbe essere contestato a chi ha ottenuto gli alloggi senza merito in virtù di autodichiarazioni di comodo per aumentare il proprio punteggio in graduatoria.
È quanto è trapelato sull’indagine scoppiata nel giugno 2022 quando avvenne il blitz dei militari dell’Arma negli uffici comunali del Sociale e Casa di viale Vittorio Veneto.
Nel loro mirino, appunto, c’erano i criteri per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.
Ad innescarla le segnalazioni di diversi cittadini che si ritenevano ingiustamente scavalcati in graduatoria da altri che non avevano gli stessi loro requisiti.
In particolare una mail giunta negli uffici della Prefettura di Treviso di un cittadino che ipotizzava l’ombra delle mazzette per ottenere un alloggio popolare.
Tra gli assegnatari sospetti delle case popolari indagati, ci sono perlopiù cittadini di etnia Rom.
Coinvolto anche Stefano Pivato, dirigente del Servizio Casa, chiamato a gestire un patrimonio immobiliare di edilizia pubblica composto da oltre settecento alloggi popolari e considerato una figura chiave nell’inchiesta, che, come tutti gli interessati, ha respinto al mittente le accuse a più riprese.
In particolare la difesa di Stefano Pivato, rappresentata dal legale Fabrizio Santoro, si è espressa fin da subito sottolineando la totale estraneità ai fatti.
«Non ho mai preso un soldo per favorire qualcuno nell’assegnazione degli alloggi» aveva detto a suo tempo il funzionario Pivato «le pressioni nel mio ufficio sono sempre state quotidiane. Da parte di tutti: non solo dei Rom. Mi chiamavano o mandavano messaggi preti, consiglieri comunali, responsabili di associazioni onlus. Era un continuo chiedere o segnalare casi effettivamente difficili».
Nella ricostruzione è emersa, in particolare, una rete di quattro “mediatori” che avrebbero segnalato al Comune i nomi degli assegnatari pilotando le attribuzioni.
Nel mirino della procura anche gli abusi edilizi commessi all’interno delle case comunali.
C’è chi avrebbe abbattuto pareti per allargare stanze o chi avrebbe addirittura unito due appartamenti contigui, grazie al legame di parentela. Il tutto senza uno straccio di permesso.
Gli abusi edilizi nelle case popolari, però, non dovrebbero essere tollerati.
Pena, per chi li esegue in barba alle regole, la decadenza dei diritti di assegnatario e l’inevitabile allontanamento dalla casa popolare a favore di altri aventi diritto inseriti nella graduatoria.
Sembra, infatti, assodato che in alcuni alloggi di edilizia popolare siano stati fatti lavori senza autorizzazione, riscontrati dopo il blitz dei carabinieri che portò alla notifica dei primi avvisi di garanzia.
Una quarantina finora gli indagati.