Il Tar annulla i divieti del Comune: nei centri islamici di Monfalcone si torna a pregare
MONFALCONE. L’imam tornerà a salmodiare. Riprenderanno respiro le salāt collettive a Monfalcone: di venerdì, giorno sacro per i musulmani. I giudici del Tribunale amministrativo regionale hanno accolto, con le sentenze depositate giovedì dopo la Camera di consiglio del 23 maggio, i due ricorsi promossi dai centri culturali islamici Darus Salaam di via Duca d’Aosta e Baitus Salat di via don Fanin contro le ordinanze dirigenziali emesse il 15 novembre dal Comune, che l’antivigilia di Natale avevano spinto la comunità straniera a scendere in strada attraverso il corteo pacifico degli 8 mila. Provvedimenti con cui l’ente, rilevando asserite difformità di impiego dei locali in rapporto alle loro classificazioni sul Piano regolatore, rispettivamente come immobili direzionale e commerciale, imponeva il ripristino delle destinazioni d’uso. Era stata la Municipale a constatare le presunte irregolarità, con verifiche.
Ordinanze annullate dal Tar
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I due centri avevano così impugnato al Tar nei prescritti 60 giorni gli atti fotocopia (anche le decisioni pubblicate ieri sono speculari) e ora il collegio giudicante – presieduto dal giudice Carlo Modica de Mohac, estensore Daniele Busico, consigliere Manuela Sinigoi – ha dato loro ragione, disponendo l’annullamento delle due ordinanze. Assorbiti gli altri argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati nelle 16 pagine di sentenza, ritenuti «non rilevanti ai fini della decisione» e comunque «inidonei» a supportare una conclusione diversa. Compensate le spese di lite. Il Comune ha già annunciato l’appello al Consiglio di Stato.
Fondati i ricorsi
Nel merito, due i punti di maggior interesse nell’articolato verdetto che ha trovato «fondati i ricorsi». In primis «l’amministrazione non ha adeguatamente dimostrato che il mutamento d’uso costituisca “variazione essenziale”». Inoltre, sempre stando al dispositivo, «l’errore dal quale muove il provvedimento», cioè le due ordinanze, è quello di «aver ritenuto che i luoghi di culto, quale ne sia la consistenza, secondo il Piano regolatore comunale di Monfalcone possano essere realizzati soltanto ed esclusivamente nelle zone preventivamente e appositamente identificate dal pianificatore e denominate S2A». Mentre «in conclusione, l’uso per il culto non è vietato nella zona B1 dalle previsioni di piano».
Ordinanza errata
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Quindi in definitiva, da un lato «è errato l’assunto su cui poggia l’ordinanza quando si afferma che la nuova destinazione d’uso è incompatibile con la zona nella quale è ubicato l’immobile; dall’altro lato, è rimasto ampiamente indimostrato che la modifica abbia inciso sugli standard urbanistici». E questo è il secondo aspetto. In quanto «anche nella relazione dell’11 novembre 2023», effettuata dalla Polizia locale, «l’accertamento circa l’effettivo impatto sul carico urbanistico si fonda su elementi generici e vaghe affermazioni», mentre resta «assente» l’individuazione «non soltanto del parametro inciso, ma anche della misura del ritenuto aggravio rispetto agli indici previsti dalla normativa di settore». Era invece necessario – ritengono i giudici – «un analitico e preciso confronto tra uno specifico standard previsto per la destinazione d’uso assentita dal titolo», direzionale o commerciale, «e il corrispondente specifico standard previsto per la destinazione d’uso modificata», cioè religiosa, onde «trarne in termini quantitativi l’effettiva incisione e la relativa misura». E ancora, in un altro passaggio: «Nel caso in esame da nessun elemento oggettivo indicato nell’atto impugnato si evince che la nuova destinazione abbia comportato l’aumento del carico urbanistico ritenuto dal Comune». Sicché l’incidenza «è rimasta ampiamente indimostrata».
Ammesse attrezzature “collettive”
Tornando invece al primo punto, nel provvedimento impugnato «s’è erroneamente ritenuto che il mutamento della destinazione d’uso non fosse consentito per la zona dagli strumenti urbanistici comunali vigenti o adottati»; né si è adeguatamente dimostrato, «attraverso una piena istruttoria e un’analitica e puntuale motivazione», che «il mutamento di destinazione d’uso comportasse modifiche degli standard». I giudici, poi, hanno osservato che gli immobili ricadono in zona B1, cioè residenziale, dove lo stesso Piano regolatore comunale «ammette le destinazioni d’uso per “servizi e attrezzature collettive” e, dunque, la destinazione di spazi a uso per il culto». Che rientrano in tale fattispecie. Poiché – scrive sempre il collegio giudicante – «i luoghi di culto, in quanto impianti di interesse generale a servizio degli insediamenti abitativi, sono proprio luoghi destinati ad accogliere attrezzature collettive di pubblico interesse e strutture di aggregazione sociale».
Spazi destinati al culto
D’altra parte, rilevano i magistrati, lo stesso Comune nel disciplinare la zona S (impianti di interesse generale) ha ricompreso tra le attrezzature collettive quelle per il culto. En passant nelle stesse ordinanze, sempre il Tar, l’ente riconosce l’uso per il culto nei “servizi e attrezzature collettive”. «Non solo», si legge infine: «Un’interpretazione che consentisse, con carattere assoluto, la creazione di spazi destinati al culto esclusivamente in determinate zone predeterminate dalla pianificazione, vietandolo in altre, potrebbe non risultare compatibile col quadro costituzionale». E qui si cita direttamente la Consulta, sentenza numero 254 del 2019.