Si scambiano su Facebook foto rubate alle mogli: cento pavesi nel gruppo sessista
PAVIA. “Mia moglie”. È questo il nome del gruppo Facebook, chiuso dopo le migliaia di segnalazioni alla polizia postale, che fino a ieri mattina contava 32mila iscritti. Tra loro, più di un centinaio di pavesi. O almeno questo è il numero relativo a due giorni fa, a prima che iniziasse l’uscita in massa dal gruppo.
Migliaia di persone, tantissime, localizzate anche a Pavia, Voghera e Vigevano, condividevano dal 2019, anno di creazione della pagina, foto delle proprie compagne, delle proprie mogli o magari amiche (anche se in alcuni casi è possibile si trattasse di perfette sconosciute), dichiarando esplicitamente nella descrizione di farlo senza il loro consenso. Lo scopo? Esibire trofei, eccitarsi all’idea di condividere con altri uomini foto scattate, o rubate, commentando in maniera sessualmente esplicita i corpi delle donne. E l’idea che a rendere il tutto ancora più eccitante, visto il tenore dei diversi commenti, sia proprio il fatto che queste donne fossero all’oscuro di tutto.
Gli “infiltrati”
Tra i vari pavesi che nel giro di poche ore sono usciti dal gruppo, ci sono anche quelli entrati per “infiltrarsi”, per capire di cosa si trattasse, e per riuscire ad analizzare un fenomeno ancora caldo e in evoluzione, prima della chiusura effettiva.
Laura Formenti, stand-up comedian da 140mila followers molto attenta alle tematiche femministe, tanto da portarle spesso all’interno dei suoi monologhi, è una di questi.
«Anni fa quando esisteva solo Facebook e io ero una giovane attrice, inconsapevole dei meccanismi social, che postava le sue foto, mi capitava di ricevere delle ondate di richieste di amicizie maschili [...] Col tempo poi capiamo come gira il mercato del nostro corpo ma se ne parliamo subito siamo nazifemministe», ha scritto sul Instagram.
Morbosità
«Quando l’ho scoperto non sono rimasta stupita. Sono entrata nel gruppo perché volevo vedere da vicino, volevo capire - commenta Formenti -. E dopo aver visto e capito, posso affermare di essere contenta che l’abbiano chiuso. Lì dentro ho trovato molta morbosità e, come spesso accade, ritengo che parlarne troppo finisce per dargli una maggiore visibilità». Secondo Formenti, inoltre, il gruppo in questione è pubblico perché ormai siamo andati oltre. Non solo perché non c’è più bisogno di nascondersi ma anche perché il meccanismo del web porta a queste dinamiche. «Si pensa sempre che internet sia una specie di non luogo, dove tutto è lecito e nulla è reato. È come se queste persone, non si rendessero conto della gravità e dell’illegalità. Non ne comprendono l’impatto, come succede spesso nei casi di revenge porn fino a conseguenze estreme», sottolinea.
Responsabilità collettiva
La riflessione di Laura Formenti si sposta poi sul confine tra omertà e responsabilità collettiva. Un confine labile, troppo sottile per Formenti. «Siamo sempre noi donne a denunciare. Questo perché anche chi non è marcio, si ritrova dentro un sistema malato. La differenza sta nel fatto che noi donne ci assumiamo il rischio di passare per le “guastafeste” di turno, loro no. Gli uomini che non intervengono si rendono conto delle battute e dei gesti sessisti altrui. Ma non vogliono fare i bacchettoni . E allora lasciano correre, perché non hanno la nostra stessa urgenza. Ad oggi però non basta dire: “io non sono come loro”. Non basta più».
