Un Natale di speranza per il lavoro e per il futuro
Carissimi,
siamo giunti alla vigilia di questo Natale e colgo l’occasione che mi è data di scrivere questo messaggio, per ringraziare quanti mi hanno accolto e accompagnato in questi primi dieci mesi in diocesi.
Il Natale ci conduce al termine dell’anno solare ma quest’anno anche alla chiusura del Giubileo (che nella nostra diocesi sarà celebrata il 28 dicembre in Cattedrale).
Nel porgere a tutti i miei più sentiti auguri, vorrei riferirmi proprio a questo tempo di grazia che è stato - ed ancora è - l’anno santo: il Giubileo ha le sue radici bibliche nel libro del Levitico al capitolo 28 e nel racconto evangelico della interpretazione e attualizzazione che Gesù fa del testo di Isaia 61,1-2 a Nazareth, nella sinagoga (Luca 4,16-30). Nel Levitico l’anno giubilare era donato per ricordare a tutti gli israeliti che Dio aveva donato la vita, la terra e i suoi frutti al popolo, e pertanto tutto doveva tornare come al momento della Sua consegna (perché il possesso della Terra corrispondeva al mantenimento della libertà e della dignità). Il Vangelo riprenderà questo annuncio di liberazione da ogni forma di schiavitù e oppressione e lo attualizzerà con la grazia apportata da Cristo nella storia: Egli è l’unto del Signore, Colui che è stato mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a proclamare la libertà da ogni forma di schiavitù, a donare la grazia della redenzione integrale per l’uomo. Vivere il Giubileo è chiedere che tutto ciò si realizzi per me, per tutti, per chi ha più di un motivo per perdere la speranza.
Non possiamo dunque avvicinarci a questo Natale e arrivare alla chiusura dell’Anno Santo, senza chiederci se questo abbia provocato in tutti noi un risveglio al possibile di Dio, un “audace guizzo” che permetta un superamento dell’ordinario grigiore con cui viviamo i nostri giorni e diffonda libertà e fiducia a chi dalla vita sta ricevendo i corrispondenti opposti: oppressione e timore. Non possiamo avvicinarci a questi giorni senza chiederci se questo tempo di grazia ci abbia aiutato ad essere grati per ciò che siamo e abbiamo, nonché a favorire la gratitudine anche in chi ha meno di noi (ma non avrà mai minore dignità).
Personalmente non potrò così avvicinarmi a questi giorni senza portare con me l’ansia e la preoccupazione di chi vede il proprio lavoro diventare sempre più povero o di chi non sa se potrà ancora contare su quel lavoro che deve necessariamente portare con sé dignità e sicurezza. Non mi avvicinerò a questi giorni senza chiedere che si abbia a cuore in particolare il futuro dei nostri giovani e delle loro speranze, senza fare qualcosa che argini lo spopolamento di questa nostra bellissima terra canavesana, ricca di tutto, ma a volte così frammentata e preoccupata solo di sé. Lo sto ripetendo in tutti i contesti e lo ricordo anche qui, con voi: non è un caso che l’Atteso sia nato in una mangiatoia, in un paese che non aveva “il sapore di casa”, e sia stato fin da piccolo costretto all’esilio. Papa Leone XIV nella Dilexi te al n. 19 ci ha ribadito che “Egli si presenta al mondo non solo come Messia povero, ma anche come Messia dei poveri e per i poveri”: non voltiamoci dall’altra parte, non cerchiamo un altro modo per vivere il Natale e per celebrare la chiusura di questo Anno Santo, rischieremmo di apprezzarne soltanto l’aspetto esteriore, decorativo, ma anche profondamente disincarnato. + Daniele SALERA
vescovo diIvrea
