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Июль
2022

Cronache dagli abissi

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Nelle tenebre delle profondità oceaniche vivono creature semisconosciute, dalle caratteristiche straordinarie. Lo racconta una biologa marina in un saggio appassionante.

Nel suo celebre dipinto Notte stellata, Vincent van Gogh ritrasse il cielo poco prima dell’alba, fuori dalla sua finestra nel manicomio di Saint-Rémy. L’opera non era la pura rappresentazione dello spettacolo della volta celeste brulicante di stelle. Van Gogh diede un movimento particolare a Venere, alla Luna e agli astri, rendendoli parte di un vortice luccicante che avvolge lo spettatore e trasmette un senso di vertigine. Le descrizioni delle esplorazioni nelle profondità dell’oceano impenetrabili alla luce del sole, contenute nel libro Sotto la soglia delle tenebre (Boringhieri), della oceanografa e biologa marina Edith Widder, ispirano simili suggestioni.





Gli abissi oceanici, neri come l’inchiostro e punteggiati da innumerevoli creature bioluminescenti, sono spettacoli di luci che ricordano le notti stellate nei deserti. «Nelle mie immersioni con il piccolo sommergibile monoposto, dotato di telecamere e sensori, sprofondavo circondata da una giostra di bagliori che andava oltre ogni mia immaginazione. Quando mi chiedono di descrivere quello che vedevo, dico che là sotto è come il “Quattro Luglio” su tela, un dipinto di luci che si tramutano da un istante all’altro, salgono, ondeggiano o precipitano giù svanendo nel nulla» scrive Widder.

Sono le magie della bioluminescenza: nel buio al di sotto della superficie dell’oceano, dai batteri unicellulari al calamaro gigante, la maggior parte degli animali emette luce. I nomi di queste creature sono evocativi: il pesce drago, il calamaro strabico, il diavolo nero barbuto, lo squalo lanterna ventre di velluto, l’anguilla pellicano, il pesce vipera, i lofiformi… e si potrebbe continuare per pagine e pagine tanto ricco è il mondo animale che si è dovuto adattare alle tenebre profonde. Tutti organismi adorni di insolite strutture per produrre luce per gli scopi più disparati, dalla comunicazione alla visione fino alla predazione e alla mimetizzazione. Il calamaro strabico è un genere di mollusco che vive attorno ai 500 metri di profondità e ha un occhio differente dall’altro: l’uno, piccolo e infossato, si rivolge verso le tenebre, in basso, emettendo bioluminescenza; l’altro, molto più grande, è rivolto in alto, dove le sagome di possibili prede si stagliano appena verso uno sfondo grigiastro. Il diavolo nero barbuto, o Melanocetus johnsonii, è un predatore feroce dai denti a sciabola che regna a 3 mila metri. La pinna dorsale culmina in un’antenna dotata di fotofori, organi che emettono luminosità per catturare le prede. Lo squalo lanterna ventre di velluto (Etmopterus spinax) è un pesce abissale la cui luce intensa promana da fotofori nei fianchi e nel ventre. L’anguilla pellicano produce bioluminescenza dall’estremità caudale (coda), poi ingoia le prede con la sua bocca abnorme dall’apertura mascellare di più di mezzo metro.

Il pesce vipera, presente anche nel Mediterraneo, di notte sale dai 3 mila metri fino a poco sotto la superficie: per attirare le creature di cui si nutre ha più di 350 organi luminosi dentro una bocca che non si chiude mai perché glielo impediscono i lunghi denti ricurvi. I lofiformi, ordine cui appartiene anche la rana pescatrice, hanno una testa enorme (oltre un terzo del corpo). Un’antenna sulla fronte bioluminescente e le pinne di foggia diversa da tutti i pesci conosciuti ne fanno tra gli animali più stravaganti dei primi mille metri di profondità.

«Queste e altre creature appena scoperte sono una sorta di miniera bioluminescente frutto di milioni di anni di evoluzione» dice Widder. « Ci raccontano di un ambiente a noi sconosciuto, in cui occhi e luce interagiscono in modi ancora da comprendere». Con i suoi abissi impenetrabili, le sue creature misteriose, e le sue meraviglie, l’oceano ha sempre agito su di noi come un universo arcano. «Il mare è una lingua antica che non riesco a decifrare» scriveva Jorge Luis Borges nella poesia Navigazione, e poi lo definiva «impenetrabile come pietra scolpita». Charles Baudelaire nei Fiori del mare chiedeva: «Dimmi Agata, a volte non ti vola via il cuore/via dall’oceano nero dell’immonda città/verso un diverso oceano di splendore/ blu, chiaro, profondo come la verginità?». E nel 1934, in un passo del suo libro Half mile down, il naturalista William Beebe affermava che fin dagli albori della storia, da quando i primi Fenici avevano sfidato il mare aperto, migliaia di esseri umani erano scesi nelle tenebre sotto il mare. Ma erano tutti morti, precisava, vittime di guerre e tempeste. Siamo noi i primi umani a guardare negli abissi marini.

Come dice Widder, «le impressionanti profondità dell’oceano a noi ancora ignote sono di gran lunga più vaste di tutto il territorio mai esplorato. È un cane che si morde la coda: non abbiamo esplorato l’oceano profondo perché non sappiamo che è un luogo sbalorditivo, pieno di misteri, e non sappiamo che è un luogo sbalorditivo perché non l’abbiamo esplorato». Nel 2000, ricercatori dell’Ocean research and conservation association, guidati da Widder, hanno costruito una telecamera sottomarina, chiamata «Eye in the sea», che è scesa al di sotto dei mille metri. Da allora Widder ha accumulato una serie di esperienze sensazionali attraverso centinaia di discese con il sommergibile monoposto e osservazioni di organismi abissali. Queste esperienze sono intrecciate in un memoir costellato da racconti di discese subacquee che tiene con il fiato sospeso. A fare da sfondo, questioni cruciali: che cosa è la bioluminescenza? Quali sono le specie che la possiedono? Come mai spesso i loro occhi sono molto grandi rispetto al corpo?

«La bioluminescenza è l’emissione di radiazione elettromagnetica che si accompagna a una reazione chimica» spiega Widder. «Ma la sua caratteristica chiave è che i reagenti chimici sono prodotti dagli stessi organismi viventi». Nel processo vengono coinvolte varie forme di un enzima, la luciferasi, usato anche dalle lucciole. «Ora sappiamo che la bioluminescenza è emersa nel corso dell’evoluzione almeno 50 volte: una chiara indicazione del suo enorme valore in termini di sopravvivenza». Talvolta le descrizioni di animali presentate da Widder si impongono sul lettore come metafore. Per esempio, il calamaro strabico pare insegnarci a guardare le cose da diverse prospettive; le specie dagli occhi che escludono una data porzione dello spettro elettromagnetico sembrano suggerirci che è meglio filtrare l’eccesso di informazione.

«Sì, i pesci abissali hanno molto da insegnarci» dice Widder. «La creatura da cui ho imparato di più è un pesce drago chiamato Pachystomias. Ho copiato da lui la mia telecamera invisibile “The eye in the sea”. Questo pesce ha tre diversi fotofori sotto ogni occhio. Uno è blu, il colore che viaggia più veloce attraverso l’acqua e che la maggior parte degli animali usa per comunicare e vedere al buio. Poi, ne possiede uno rosso e uno arancione. La luce arancione, non si sa bene la sua funzione, forse serve ad attirare il partner. Quella rossa serve per vedere senza essere visti: questo pesce drago infatti ha occhi che invece di vedere solo la luce blu, la norma per i pesci abissali, vedono anche la luce rossa». Ma forse è la bioluminescenza in sé l’insegnamento più grande dei pesci abissali: brillare di luce propria.





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