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2022

Cacciari: “Governo europeista o l’Italia va in default, Mattarella non ci manderà mai al voto”

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Cacciari: “Governo europeista o l’Italia va in default, Mattarella non ci manderà mai al voto”

Il filosofo: «Draghi forse si è dimesso per avere un chiarimento definitivo. Persino i Cinque Stelle hanno già capito l’idiozia di cui sono stati capaci»

Professor Cacciari, Mario Draghi si è dimesso.

«Non me l’aspettavo. Ma di una cosa sono certo: a votare non andiamo. È pacifico».

Mi sfugge.

«Ma come fa Mattarella ad accettare il voto in queste condizioni? Non sono chiare le scadenze che ci attendono a ottobre e a novembre? Non è chiara la situazione drammatica nella quale stiamo vivendo?».

Dunque Draghi bara?

«No. Ma intanto Mattarella lo ha rimandato alle Camere. La maggioranza parlamentare c’è tutta. Ieri Draghi ha ottenuto la fiducia. Persino i 5 Stelle, che prima gettano il sasso e poi tirano indietro la mano arrampicandosi su mille specchi e specchietti, sono tornati sui loro passi, dimostrando ampiamente di avere capito l’idiozia di cui sono stati capaci».

Magari, semplicemente, Draghi non ne può più di questa fanghiglia ricattatoria?

«Dice, e mi scuso per il francesismo, che si è rotto i coglioni? Può essere. Oppure può essere che voglia un chiarimento definitivo».

Sarebbe il minimo sindacale.

«Certo che lo sarebbe. Ma allora lo dica. Dica che nel suo governo c’è un clima di sfiducia e di contraddizioni che non sono più tollerabili. Dica che così è impossibile affrontare la tormenta che ci aspetta in autunno, che è meglio votare prima. Provi a comunicare qualcosa che sia comprensibile per i cittadini. L’impressione è che proprio non gli passi per la mente».

Perché il premier dovrebbe restare?

«Non dico che questo governo sia la panacea per tutti i mali, ma almeno ha un leader con una credibilità internazionale decisamente forte e questa è l’unica cosa che ci può salvare da una crisi che pesa sull’Italia più che su qualunque altro Paese europeo. Siamo nelle mani di Mattarella. Se Draghi resta avrà una maggioranza piegata a ogni suo desiderio. Se si è stufato deve avere pronto un altro nome».

Amato?

«Amato. Lo voterebbe anche Berlusconi».

Come siamo arrivati a questo punto?

«C’è stata una catastrofe all’interno dei Cinque Stelle. Anzi, mi correggo, del fantasma dei Cinque Stelle, perché i Cinque Stelle non esistono più. Conte ha cercato un suo spazio di autonomia da giocare contro Di Maio, scatenando una tempesta nel bicchier d’acqua già spaccato del suo Movimento. Ma dietro la reazione di Draghi ci deve essere qualche retroscena che mi sfugge».

Perché lo dice?

«Perché non si lascia per le bizze di una componente residua del governo, che per altro non lo farà mai cadere. Capirei se ad andarsene fosse stato il Pd. Ma così è assurdo. Al limite fai un rimpasto, ti liberi della zavorra e vai più spedito di prima. Chi lo vuole Conte? Letta? Salvini? Ma andiamo».

Nel frattempo le Borse sono crollate.

«E con loro i risparmi degli italiani. Se viene un governo che non ha sufficienti rapporti con i poteri forti europei l’Italia va in default. E tutto questo per Conte? Forza, non prendiamoci per i fondelli».

In un’intervista a La Stampa Berlusconi ha detto: il campo largo ormai è un campo santo.

«Ha ragione. Battuta riuscita. Ma faccia attenzione a ridere. Se Draghi, magari perché ha altre mire e altre offerte da qualche altra parte nel mondo, si è stancato dell’Italietta, non è detto che non nasca un partito che fa comunque riferimento a lui e a Mattarella».

Un partito europeista, atlantista, buonsensista che piace anche ai poteri forti?

«Quello. Con Letta, Di Maio, Calenda, qualche governatore della Lega, magari Renzi e Sala. A quel punto Berlusconi che cosa fa? Si allea con questa forza di centro credibile o sceglie Meloni?»

È una domanda retorica?

«Lo è. La prospettiva è quella di andare alle elezioni con un rassemblement di centro conservatore europeo (modello Macron) contro una destra a guida Meloni Salvini (modello Le Pen)».

Mi perdoni, e la sinistra?

«Non c’è più».

I fragili sì. Crescono a dismisura.

«Non c’è dubbio. Le disuguaglianze continuano a moltiplicarsi. Con la recessione e l’inflazione al 10% qualcosa, e qualcuno, è destinato a venire fuori. Stiamo andando verso una situazione di drammatici disordini sociali. Non mi stupirei se nel giro di due o tre mesi ci trovassimo di fronte a una nuova formazione politica».

Guidata da chi?

«Il nome non lo so. Ma so che un italiano su due non va più a votare. E che tra questi la metà non arriva alla fine del mese. Eppure qui si va avanti con il reddito di cittadinanza e con i bonus. Magari con quelli per la casa che mettono sullo stesso piano chi ha una villa e chi vive in una catapecchia. Un leader modello Melanchon che si occupi della marea dei non rappresentati può valere il 25-30% dei voti».

Parlando di cosa?

«Di patrimoniale, per esempio. Idea che per il centrosinistra è diventata un tabù».

Landini leader?

«Il nome al momento non lo vedo. Ma sono gli eventi a fare i nomi, non i nomi gli eventi».

Il reddito di cittadinanza ha salvato un sacco di gente.

«Vero, non lo discuto. Ma così come è concepito non regge. Manca tutta la parte delle politiche attive del lavoro. E se uno gira in città come Milano o Venezia scopre che i bar e i ristoranti non riescono a trovare i camerieri a meno che non li paghino in nero. Perché se li regolarizzassero perderebbero i sussidi».

Che altro servirebbe?

«La spending review. I conti dei ministeri e della pubblica amministrazione continuano a salire, ma nessuno ne parla. Mi chiedo che fine abbia fatto il mio amico Cottarelli».

Magari è il suo momento.

«Sì, così poi Salvini, Berlusconi e mezzo Pd mettono mano alla pistola».

Secondo lei stasera qualcuno a Mosca è contento o immaginarlo è surreale?

«Immaginarlo è realissimo. La Russia ha dichiarato l’Europa nemico politico (e dico politico perché gli affari proseguono alla grande senza che nessuno se ne occupi) e dunque un governo in crisi non può che rendere felice Mosca. Ma anche gli Stati Uniti».

Che c’entrano gli Stati Uniti?

«L’unica cosa che li unisce ai russi è non volere un’Europa unita e forte. Solo Gorbaciov la teorizzava. Ma in Russia la sua linea politica è sempre stata largamente minoritaria».

Professore, lei voterebbe mai per il Grande Centro?

«Un tempo avrei detto di sì ripetendomi all’infinito: voto per il Pd, voto per il Pd, voto per il Pd. Ma ora temo di essere arrivato al caffè e che le mie capacità di resistenza al meno peggio stiano scemando».

Precipita anche lei nel 50% di italiani che disertano il voto?

«Temo che alla fine il mio dovere lo farò. È solo che adesso mi manca la lingua per parlarne».





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