Viaggio tra i bunker e gli avamposti della Guerra fredda, un patrimonio friulano
foto da Quotidiani locali
A pochi anni dalla fine dalla seconda guerra mondiale, mentre l’Europa intera avviava un faticoso processo di ricostruzione, gli alleati occidentali ritennero che in caso di invasione sovietica quello che oggi è il Friuli Venezia Giulia sarebbe diventato un campo di battaglia tra le forze occidentali e quelle del blocco sovietico.
L’intera regione fu così trasformata in una fortezza: furono costruite in un periodo relativamente breve caserme, poligoni di tiro, depositi di munizioni e basi missilistiche, fu approntata una linea difensiva composta da centinaia di strutture sotterranee pronte ad essere attivate in caso di invasione e centinaia di migliaia di soldati furono schierati in tutto il territorio.
Si stima che nel corso della Guerra fredda oltre tre milioni di italiani abbiano svolto il servizio militare in questa regione e che vi fossero schierati due terzi dell’Esercito italiano (ad Aviano è tuttora collocata una delle più importanti basi dell’aviazione americana in Europa).
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Con la fine della Guerra fredda, il processo si invertì e la presenza militare fu radicalmente ridotta. Le caserme furono chiuse e i bunker, che avrebbero dovuto garantire la prima difesa del territorio, vennero dismessi e abbandonati. Quando, rispettivamente nel 1995 e nel 2004, Austria e Slovenia entrarono nell’Unione Europea, il confine fortificato cessò di fatto di esistere.
Oggi queste strutture, così familiari a chi vive in Friuli Venezia Giulia, sono un potente promemoria del fatto che il conflitto tra i due blocchi contrapposti è stato anche all’origine di veri e propri conflitti armati, come è accaduto in Corea, in Ungheria, in Vietnam e in Cecoslovacchia.
Per i cittadini e le amministrazioni locali caserme, fortificazioni e altri tipi di strutture militari hanno rappresentato e rappresentano indubbiamente un ostacolo al pieno sviluppo del territorio, nonché un rischio per la sicurezza e l’ambiente.
Ma non sono solo questo: sono anche un patrimonio culturale unico attraverso il quale studenti e turisti possono toccare con mano uno snodo cruciale della storia globale.
Non a caso, negli ultimi decenni il turismo della Guerra fredda è diventato un campo sempre più vitale, soprattutto nei paesi dell’ex Patto di Varsavia, con tour di ex bunker, rifugi antiaerei e strutture di base sovietiche in Polonia, Repubblica Ceca e Germania.
Frontiera Est è il primo progetto organico per valorizzare e rendere disponibile al pubblico parte di questo patrimonio storico, a partire dalle strutture che sono oggi visitabili grazie al meritorio impegno di alcune associazioni private. Bisogna però specificare che si tratta solo in parte di fortificazioni realizzate durante la Guerra fredda.
Fu infatti il fascismo a realizzare il primo sistema difensivo organico sulla linea di confine (il cosiddetto Vallo Alpino del Littorio), che fu poi ammodernato e riattivato parzialmente dall’Esercito italiano e dalla Nato dopo la Seconda guerra mondiale.
Nella pianura friulana, invece, fu costruito un sistema difensivo ex-novo, spesso vicino o addirittura all’interno dei centri abitati. L’estensione del sistema nella sua interezza è enorme.
Nella zona della Carnia e del Tarvisiano sono presenti più di quattrocento fortificazioni, alle quali si aggiungono le oltre novecento della pianura friulana.
Il patrimonio culturale della Guerra fredda presente in Friuli Venezia Giulia ha però una seconda caratteristica che lo rende unico, oltre alla sua estensione: bunker e caserme ora abbandonati possono essere collegati e messi in rete con il patrimonio culturale lasciato dagli altri due devastanti conflitti che furono combattuti in questa regione: la Prima e la Seconda guerra mondiale.
Valorizzare i luoghi della Guerra fredda e collegarli con gli altri siti storici vuol dire così cogliere l’occasione unica di aprire una straordinaria finestra sull’intera storia del Novecento, facendo di questa regione una capitale globale per lo studio della storia contemporanea.