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Май
2023

Pietro e Francesco, mezzo secolo di orgoglio alpino: intervista doppia al più giovane e al più vecchio del gruppo Ana di Udine

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C’è una cosa che unisce veci e bocia: l’attaccamento allo spirito alpino e l’orgoglio di aver indossato il cappello con la penna nera. Sentimenti che sono emersi con forza nella doppia intervista al più giovane e al più anziano del gruppo Ana di Udine Centro.

Si tratta di Francesco Ottogalli, classe 1979, e di Pietro Dini, classe 1925. Il primo, pronto a cimentarsi con la sua prima Adunata nazionale, ricorda con affetto i mesi di naja. Il secondo, reduce della Seconda Guerra Mondiale, non vede l'ora di rivivere per l’ennesima volta l’atmosfera e l'entusiasmo che circondano i raduni alpini.

La penna nera di Pietro: dalla guerra a Fiume alla festa delle adunate

Cappello alpino e camicia del gruppo Ana di Udine Centro. Così ci accoglie Pietro Dini, classe 1925, nella sua casa di via Istria. Pimpante e sorridente, per fare due chiacchiere ha preparato tutta una serie di documenti sulla sua giovinezza con tanto di fotografie e libri in cui si parla di lui e delle penne nere. Nato a Mercatello sul Metauro, in provincia di Pesaro-Urbino, ha sempre vissuto a Udine, e si sente a tutti gli effetti udinese.

Signor Pietro, quando è diventato alpino?

«A 19 anni, nel 1944, e lo sono stato per un anno, durante la guerra. Ero assegnato al sedicesimo Battaglione alpino costiero da fortezza, a Fiume».

Che ricordi ha?

«È stata una bella esperienza, un bel periodo, anche se c’era la guerra ed eravamo circondati dai titini».

Ci sono stati momenti critici?

«Un gruppo di nostri tenenti, probabilmente nel tentativo di salvarsi la vita, cercò un accordo con i partigiani jugoslavi a nostra insaputa. Ormai la guerra stava per finire. I tedeschi se ne accorsero e ci disarmarono. Fu la nostra fortuna. Tre dei tenenti furono risparmiati, uno fu fucilato. Ci mandarono tutti a San Sabba, dove restammo otto giorni. Poi durante un trasferimento riuscimmo a scappare. Ormai non eravamo più controllati, i tedeschi avevano capito che la guerra era agli sgoccioli e non ci diedero troppa importanza».

Dopo cosa fece?

«Tornai a Udine senza proseguire con la carriera militare. Però mi iscrissi subito all’Associazione nazionale alpini. Sono sempre stato del gruppo di Udine Centro. Fino a qualche anno fa partecipavo agli incontri, ora mi limito a pagare il bollino annuale».

Cosa significa per lei essere alpino?

«È un orgoglio, soprattutto indossare il cappello. Non so spiegarne il motivo, forse perché a Udine c’è un legame particolare con gli alpini».

Ha mai partecipato a un’Adunata?

«Ne ho fatte molte in diverse città italiane. Ho tante foto appese alle pareti che lo testimoniano».

È contento che quest’anno la si organizzi a Udine?

«Certamente, lo spirito che si respira in quelle giornate è di grande festa».

Parteciperà?

«Mi piacerebbe esserci, ma non riesco a camminare. Se mi caricano su un mezzo sarò volentieri alla sfilata di domenica, altrimenti me la guarderò in televisione. Da reduce ho sfilato anche per i 50 anni della Fanfara della Brigata Julia, nel 2017, e ricordo di aver utilizzato un mezzo militare. Vedremo cosa si potrà fare quest’anno».

Le piacerebbe se la leva venisse reintrodotta?

«Senza dubbio, sarebbe molto utile per i giovani. Lontano dalla famiglia si impara a vivere. Un anno di leva farebbe bene ai ragazzi di oggi: capirebbero che bisogna anche saper ubbidire. Non si può solo comandare».

A settembre compirà 98 anni. Qual è il suo segreto?

«A tutti dico che ho 80 anni, ma non ci credono. Il cervello funziona ancora bene, il fisico un po’ meno. Qual è il mio segreto? Mi son Alpin, me pias el vin», chiude sorridendo, citando una celebre canzone delle penne nere.

Il debutto di Francesco: il più giovane iscritto al gruppo Ana udinese

Francesco Ottogalli, classe 1979, è il più giovane iscritto al gruppo Ana di Udine Centro. Dopo i mesi di naja trascorsi a Vacile di Spilimbergo, solo negli ultimi anni si è avvicinato all’Associazione nazionale alpini, e per lui, quella di Udine, sarà la prima Adunata. Dimostra comunque di essere molto legato allo spirito alpino, e non a caso nel locale che gestisce, il bar Americano di piazza Libertà, il cappello con la nappina cremisi e la penna nera è messo in primo piano.

Francesco, quando e dove ha fatto l’alpino?

«Per il Car, Centro addestramento reclute, sono stato a Merano, poi l’anno di leva l’ho completato a Vacile, vicino a Spilimbergo. Sono rimasto in Friuli Venezia Giulia. Ero un autiere della Julia, spaccista. Ho fatto parte del secondo scaglione 1998».

Quanto è entrato a far parte del gruppo Ana di Udine Centro?

«Dopo essere venuto a lavorare a Udine, otto anni fa. Non riesco a seguire molto l’attività, visto che lavoro in un bar e il tempo libero è poco, ma se c’è bisogno sono sempre pronto a dare una mano. È successo anche di recente per alcuni lavori nei locali che ospitano la segreteria del gruppo».

Ha mai partecipato a un’Adunata alpina?

«No, mai. Quella di Udine sarà la prima per me. Esordisco in casa. Nel 1996 non ero in città e quindi non partecipai. Ora sono obbligato a esserci».

Cosa si aspetta da questo appuntamento?

«Sarà impegnativa per il lavoro, ma credo si trasformerà in un evento bellissimo e indimenticabile. Per il Friuli l’Adunata è un evento davvero molto sentito. Sono certo che saranno migliaia le penne nere che arriveranno in città. Speriamo nel bel tempo. Sono convinto che sarà un successo sotto diversi punti di vista».

Che ricordi ha del suo periodo di naja?

«Ricordi molto positivi, nella consapevolezza di aver vissuto un’esperienza che oggi non si può più fare. E poi essere alpino in Friuli ha un sapore diverso. È un vero onore. Sono contento di aver fatto parte di questo glorioso Corpo. Certo, all’inizio è stato difficile lasciare tutto e partire, ma con il tempo posso dire che l’esperienza mi ha lasciato qualcosa di indelebile».

Per questo ha deciso di esporre il suo cappello nel suo bar?

«Certo, è motivo di vanto e di orgoglio per me».

È favorevole a un ritorno della leva obbligatoria?

«Con la mentalità che c’è oggi tra i giovani e per il modo che hanno di affrontare le cose, credo sia improponibile. Obbligare dei ragazzi a fare ciò che abbiamo fatto noi non la considero una buona idea. Non funzionerebbe. Questo è il mio parere».

All’Adunata di solito si incontrano i vecchi commilitoni. È rimasto in contatto con alcuni di loro?

«Non molto, ma spero di poterne incontrare qualcuno. La gran parte dei miei commilitoni non arrivava dal Friuli Venezia Giulia, ma dal Veneto. Mi auguro ci possa essere l’opportunità di rivedere qualche vecchio amico e di ripercorrere i mesi della naja insieme».





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