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Ноябрь
2023

Se lo Stato non spegne la luce

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Da quasi dieci anni c’è un «tesoretto» per aiutare gli enti a pagare l’energia. Ma in passato nessun governo l’ha pubblicizzato, così ne sono state utilizzate soltanto le briciole.

Dalla agognata «riqualificazione energetica degli edifici» fino alla «riduzione dei consumi di energia nei processi industriali», passando per «la realizzazione e/o l’implementazione di reti e impianti di teleriscaldamento e teleraffrescamento». Questioni che oggi fanno scervellare (e non poco) politici, amministratori ma anche privati viste le rigide regole europee sulla transizione energetica che ci obbligano, tanto per dire, ad avere potenziali edifici nuovi a emissioni zero entro il 2030 e convertire quelli esistenti, sempre a emissioni zero, entro il 2050. Regole che non tengono minimamente in conto tempi, necessità, difficoltà che ogni singolo Paese potrebbe avere. Anche perché in molti casi fondi specifici neanche esistono. E, quando ci sono, vengono usati o - paradosso dei paradossi - non vengono usati affatto. Chissà quanti avranno mai sentito parlare del «Fondo nazionale per l’efficienza energetica». Probabilmente pochi, se non nessuno. Eppure stiamo discutendo di circa 310 milioni di euro di soldi pubblici a disposizione per la transizione. Incredibilmente mai utilizzati, se non per qualche spicciolo. La ragione? Tenetevi forte: nessuno si è mai preoccupato di pubblicizzarlo abbastanza.

Questa storia, a tratti tragicomica, non è così recente (il che rende tutto ancora più grottesco). Dobbiamo fare un balzo indietro di quasi dieci anni. È il 2014 quando a Palazzo Chigi siede Matteo Renzi e al MiSe Carlo Calenda. E il 4 luglio di quell’anno viene approvato un decreto legislativo che, all’articolo 15, recita: «È istituito presso il Ministero dello sviluppo economico il “Fondo nazionale per l’efficienza energetica” [...] destinato a favorire [...] interventi di miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici di proprietà della Pubblica Amministrazione; realizzazione di reti per il teleriscaldamento e per il teleraffrescamento; efficienza energetica dei servizi e infrastrutture pubbliche, compresa l’illuminazione pubblica; efficientamento energetico di interi edifici destinati ad uso residenziale, compresa l’edilizia popolare; efficienza energetica e riduzione dei consumi di energia nei settori dell’industria e dei servizi; efficienza energetica e riduzione dei consumi nel settore dei trasporti». Di tutto di più, insomma. Esattamente quello di cui c’era bisogno. Ieri come oggi.

Il Fondo, però, non decolla. E così negli anni a seguire si decide di cambiare in corsa, affidandone la gestione al ministero dell’Ambiente e a Invitalia, nella speranza che qualcosa possa cambiare. Al dicastero si susseguono vari ministri: Gian Luca Galletti al tempo di Renzi e poi Gentiloni; Sergio Costa nei governi Conte1 e Conte2; infine Roberto Cingolani con Mario Draghi che - qualcuno ricorderà - aveva addirittura nel titolo il richiamo proprio alla «transizione ecologica». Come detto, però, nulla è cambiato. E oggi, a puntare il dito contro una gestione non certo ottimale sia dei governi passati sia di Invitalia, fino allo scorso anno guidata da Domenico Arcuri, è la Corte dei Conti in una delibera agghiacciante: sui 310 milioni stanziati sono stati erogati soltanto 2,8 milioni di euro. Praticamente niente. Lo 0,9 per cento. Sono stati in 26 ad avanzare domande e poco più di una decina a ricevere effettivamete i soldi. Nessuno di più. Si va dalla Usl della Romagna per la «riqualificazione energetica dell’infrastruttura pubblica costituita dal presidio ospedaliero Bufalini di Cesena» passando per piccoli borghi semi-sconosciuti come Ruffano (9 mila abitanti in provincia di Lecce), Trescore Balneario (8 mila abitanti in provincia di Bergamo) o ancora Cerro al Volturno (mille abitanti in provincia di Isernia) che, lodevolmente, hanno chiesto fondi per efficientare l’illuminazione pubblica. Nessuna domanda da centri più o meno grandi. Zero.

E così, visti i finanziamenti effettivamente erogati, si è andati incontro a un risparmio energetico conseguito di 11 mila tonnellate equivalenti di petrolio (Tep). Peccato però che, scrivono i magistrati contabili, bisognasse arrivare a «15,5 milioni, indicati al 2020 come uno degli obiettivi nazionali raggiungibili con il concorso di tutte le misure adottate nel settore». Inevitabile chiedersi come sia stato possibile. Semplice: siamo davanti, secondo i magistrati, a una «verosimile inadeguatezza delle forme di pubblicità assicurate alla misura», tanto che in alcune aree geografiche come Veneto o Sardegna «l’interesse si è mostrato addirittura del tutto assente». Ma nessun progetto risulta essere andato in porto neanche in Basilicata, Calabria, Marche, Liguria, Friuli-Venezia Giulia o Valle d’Aosta. Un disastro bello e buono, dunque, di cui ora dovrà occuparsi il ministro Gilberto Pichetto Fratin che, peraltro, ha condiviso le critiche mosse dalla Corte dei Conti, tanto che si è impegnato a rendere più attrattivo il Fondo già con la prossima legge di bilancio, su cui intanto si sta lavorando.

Questa volta, però, l’attenzione del Parlamento è alta, non a caso sono state presentate interrogazioni sul caso. «Noi abbiamo proposto al governo di modificare la norma, per renderla più attrattiva» spiega a Panorama il deputato del Movimento 5 Stelle Enrico Cappelletti. «Chiediamo che il ministero dell’Ambiente segua le raccomandazioni della Corte dei Conti, valutando di introdurre misure correttive. Ma vanno anche ampliate le finalità dello stesso, arrivando a comprendere negli interventi di miglioramento dell’efficienza energetica, anche gli edifici di proprietà della Pubblica Amministrazione. Il Fondo deve essere reso disponibile alle imprese, per le configurazioni di autoconsumo collettivo e per incentivare le comunità energetiche rinnovabili. Servono anche campagne informative ad hoc per pubblicizzare in modo capillare la sua esistenza in tutto il territorio nazionale, con particolare riguardo alle regioni, come il Veneto, che non ne hanno ancora fatto uso». Tutti propositi su cui, secondo quanto risulta a Panorama, i tecnici ministeriali stanno lavorando con l’obiettivo di arrivare a una quadra il prima possibile, forse già a inizio 2024 (se non si dovesse fare in tempo nell’immediatezza con la legge di Bilancio). Nella speranza, ovviamente, che i fondi, una volta tanto disponibili, vengano anche utilizzati.





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