Nella cappa dello smog, Sarajevo la città più inquinata del mondo
foto da Quotidiani locali
BELGRADO Al mattino, e oltre, una nebbia costante, che non è nebbia ma smog. Gente che tossisce per strada, bambini che tornano a casa da scuola con addosso un odore pungente di carbone. E dopo tanti progetti e grandi promesse, i risultati stanno ancora a zero. Risultati sull’abbattimento dell’inquinamento nei vicini Balcani, “polmone nero” in Europa soprattutto d’inverno, in particolare a causa delle centrali elettriche a lignite, dei sistemi di teleriscaldamento obsoleti utilizzati da chi ancora riscalda casa con nafta o carbone, e anche delle vecchie auto in circolazione.
È un problema endemico, quello dello smog, che anche quest’anno puntuale è tornato a colpire nella regione. Lo confermano le ormai celebri classifiche negative delle città più inquinate del globo, che anche ieri ha visto raggiungere il gradino più alto la capitale bosniaca, Sarajevo, che ha superato nel pomeriggio Wuhan, Lahore, Dehli. Ma fra le prime dieci ci sono anche Belgrado e Skopje; e fra le prime venti non manca Pristina, che ieri – ancora una volta – ha fatto peggio persino di Mumbai.
Non è una novità, perché ogni inverno il quadro è identico, senza che le autorità muovano un dito. Il quadro è particolarmente drammatico a Sarajevo, città incastrata fra le montagne che rendono difficile il ricircolo d’aria, dove ieri le Pm2.5 hanno toccato livelli superiori di oltre venti volte quelli massimi indicati dall’Oms e dove lo smog, associato alla nebbia, ha portato ancora una volta alla cancellazione di svariati voli all’aeroporto locale. «Normale, quando si brucia per riscaldamento anche l’olio motore», riferimento alla povertà energetica che costringe moltissimi a riscaldarsi con quanto si trova; o «aria pericolosa a Sarajevo, buona notte»: sono alcuni dei messaggi circolati sui social, mentre i media locali in Bosnia hanno raccontato dell’inquinamento terribile di Tuzla, prodotto dalla mega-centrale a carbone.
Ma non va molto meglio nella vicina Serbia, che da giorni registra dati allarmanti sulla qualità dell’aria non solo a Belgrado, ma anche a Niš, Cacak e decine di altre città minori. «Si sa che a mattino e sera le concentrazioni di polveri sottili sono ai massimi, meglio cercare di uscire nelle altre fasce orarie» e «verificare sulle app» dedicate il grado di inquinamento, il consiglio della pneumologa Snezana Rsovac. «Ridurre la permanenza all’aperto, fare pause frequenti nelle attività all’aria aperta», la raccomandazione che si legge sul sito dell’Istituto per la salute pubblica di Belgrado. «L’aria sa di plastica, ogni inverno è lo stesso, sempre peggio», racconta da Skopje Ljubica, esperta di diritti umani, una figlia piccola «che porto ogni fine settimana in montagna per ripulire i polmoni».
Ma la situazione è del tutto simile anche in Kosovo, dove l’energia elettrica arriva praticamente solo dall’obsoleta centrale a carbone Kosovo B, e nelle aree più interne del Montenegro. Sono tutti risultati dell’inazione delle autorità, che malgrado progetti ambiziosi “green” continuano a mantenere attive soprattutto una ventina di centrali a carbone che inquinano più di tutte le 220 attive a livello Ue. E le emissioni, nel 2022, sono addirittura aumentate, ha denunciato la rete di Ong ambientali Bankwatch. Con costi enormi. Uno studio scientifico pubblicato a dicembre e dedicato ai Balcani, infatti, ha svelato che, sulla base di dati del 2019, il costo per malattie e morti causate dal Pm2.5 in 28 cittadine balcaniche si aggira tra i 7,8 e i 9 miliardi. E sono numeri che confermano, ancora una volta, l’urgenza di agire.