Prima le targhe, adesso la valuta: l’addio ai simboli di Belgrado
Non solo lo stop alle targhe serbe e l’imminente divieto dell’uso del dinaro, ma anche una campagna per rimuovere altri simboli della Serbia. Sembra aver scelto la linea dura, quella della “kosovizzazione” delle aree a maggioranza serba, il governo di Pristina.
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Lo confermano mosse quantomeno controverse e lette con sdegno dalla minoranza serba. Mosse come l’annunciata chiusura di municipi “paralleli” fedeli a Belgrado nel comune di Vraniste, nel sud del Kosovo, dove le autorità serbe gestivano gli affari dei serbi originari di Prizren, Suva Reka, Orahovac e Dragas.
«L’attività delle strutture parallele serbe è finita, queste istituzioni non possono esistere, le loro attività sono illegali», ha fatto sapere uno dei protagonisti dell’operazione, il ministro kosovaro per il governo locale, Elbert Krasniqi, che ha assicurato che il «Kosovo è un Paese unitario», dove non c’è più spazio per organi fedeli a Belgrado.
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A colpire i serbi, in particolare, la rimozione delle insegne con la scritta «Repubblica di Serbia» sulle istituzioni chiuse da Pristina. Pristina che, nonostante le perplessità di molti, sembra aver tutta l’intenzione di andare avanti. In Kosovo «l’unica istituzione serba» che sarà consentita «sarà l’ambasciata della Serbia a Pristina», ha rincarato la dose il ministro degli Interni kosovaro, Xhelal Svecla.
Quello di Vraniste non è un caso isolato. Giorni fa a Leposavic, nel nord, sono sparite le bandiere serbe da un edificio dove ha sede anche un ufficio della missione Onu, e sono state installate insegne con la scritta, invisa ai serbi, «Repubblica del Kosovo». A far discutere anche lo smantellamento di un grande cartellone nei pressi di Zvecan, che ritraeva cittadini onorari della cittadina, come Vučić e il tennista Djokovic. E tutto suggerisce, anche da questi segnali all’apparenza secondari, una nuova crisi dietro l’angolo.