«Ho ucciso Mohamed Ibrahim, c’erano papà e mio fratello». La rivelazione dell’assassino ai cognati

foto da Quotidiani locali

CASSOLNOVO. La testimone appoggia un foglio sul banco: è un certificato del suo medico curante, che attesta problemi di memoria. Ma alla fine, tra i vari “non ricordo” e parole pronunciate con la voce rotta dall’ansia, la donna, incalzata dalle domande del pubblico ministero Andrea Zanoncelli, riesce a scavare nella memoria e a raccontare: «Quella sera Massimo venne a casa mia e mi disse: “Ho ucciso quella persona”. Ha detto che con lui c’erano il fratello e il padre».

La testimone, Simona R., di Cilavegna, è la cognata di Massimo Rondinelli, già condannato in primo grado a 19 anni per l’omicidio di Mohamed Ibrahim, il 44enne egiziano trovato morto nella sua auto alla Morsella di Vigevano il 14 gennaio 2023 e ucciso a colpi di fucile e pistola, secondo l’accusa, la sera dell’11 gennaio in un capannone a Cassolnovo. Massimo Rondinelli aveva confessato, ma non ha mai tirato in ballo i familiari. Per il fratello e il padre, Claudio e Antonio Rondinelli (ieri assente in aula), di 40 e 65 anni, il giudizio è invece ancora in corso: ieri il processo, che si sta celebrando davanti alla Corte d’Assise presieduta dalla giudice Elena Stoppini (affiancata dal collega Vincenzo Giordano e dai giudici popolari), è entrato nel vivo con la deposizione dei primi testimoni.

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L’accusa e la terza imputata

Il processo vede imputata anche Carmela Calabrese, moglie e madre di Antonio e Claudio Rondinelli, con l’accusa di avere avuto un ruolo, quantomeno morale, nell’omicidio del 44enne, compagno della figlia Daniela Rondinelli con cui l’uomo aveva avuto una figlia. Mohamed Ibrahim, secondo la ricostruzione della procura, sarebbe stato ucciso nel capannone di Cassolnovo, di proprietà dei Rondinelli che lo avevano poi ceduto alla vittima perché potesse mandare avanti l’attività di frutta e verdura. Il delitto, secondo la ricostruzione del pm, sarebbe scaturito dalle continue di richieste di denaro da parte di Ibrahim, che insisteva anche per l’affidamento di sua figlia. La testimone ha raccontato che la sera del delitto i cognati (la sorella di suo marito e il suo fidanzato, Massimo Rondinelli), si erano presentati a casa sua e del marito.

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«Avevamo paura»

La donna era stata sentita il 3 il 5 luglio dello scorso anno, ma ieri ha fatto più fatica a ricordare. Alla domanda “Ha subito pressioni?” ha risposto di no, salvo poi dire di avere avuto paura a denunciare, dopo essere stata messa a conoscenza di un assassinio. «Massimo e la sua fidanzata, Valentina Guarna, sono venuti a casa nostra per bere un caffè. Massimo era molto agitato». Ma cosa vi ha detto, chiede il pm? «Eh, che avevano ucciso quella persona, che avevano sparato a Mohamed. Cioè, lui ha detto che aveva un fucile e che c’erano anche suo fratello e suo padre». Parole confermate dal marito, Bruno G., anche lui chiamato a testimoniare: «Massimo si è presentato con mia sorella e ha raccontato di avere ucciso quel ragazzo, ma non ha detto perché. Era con il fratello e il padre. Piangeva, era molto agitato. Continuava a dire: “Ho sparato”. Perché non abbiamo denunciato subito? Non so dirlo nemmeno io, forse per paura. Non me la sentivo».

Richiesta di patteggiamento per occultamento di cadavere

Sul delitto di Mohamed Ibrahim, 44 anni, c’è già stata una condanna ed è in sospeso una richiesta di patteggiamento. La condanna, a 19 anni di carcere, è stata pronunciata in abbreviato dal giudice Luigi Riganti e riguarda Massimo Rondinelli, 35 anni, che come i suoi familiari (il fratello, il padre e la madre) ha dovuto rispondere di omicidio volontario. L’imputato aveva scelto un rito diverso in seguito alla sua confessione in carcere: nel suo racconto aveva detto di avere sparato con un fucile a Ibrahim, insieme ad altre persone, senza però tirare in ballo i suoi familiari. Ha invece chiesto di patteggiare un anno e otto mesi, ma per la sola accusa di occultamento di cadavere, Luigi D’Alessandro, 38 anni, fidanzato di Elisa Rondinelli, sorella degli imputati, dapprima indagata per favoreggiamento e la cui posizione era stata poi archiviata (ieri è stata sentita nel processo come testimone ma si è avvalsa della facoltà di non rispondere, come la moglie di Claudio Rondinelli). D’Alessandro aveva collaborato alle indagini fornendo elementi accusatori nei confronti della famiglia Rondinelli. Aveva negato di avere partecipato all’omicidio, ma aveva invece ammesso di avere aiutato a spostare il corpo di Mohamed Ibrahim dal capannone fino alla Morsella e di averlo poi dato alle fiamme nell’auto della stessa vittima. Restano poi in sospeso le posizioni di altre due indagati, che devono però rispondere solo di favoreggiamento: Francesco Guarna e la figlia Maria Valentina Guarna, che avrebbero avuto un ruolo nell’occultamento di una pistola —