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Апрель
2024

Dividere i partigiani tra ‘buoni’ e ‘cattivi’: l’ultima disperata ridotta del revisionismo fascista e sovranista

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Se una linea va tracciata, è quella che divide fascisti e antifascisti. Non dirsi antifascista, barricarsi dietro fumisterie e ambiguità, equivale a proclamarsi fascista: Dante Alighieri riservava l’inferno agli ignavi.

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È avvilente che ad ogni ricorrenza del 25 aprile, il giorno della Liberazione dai totalitarismi che portarono al Secondo conflitto mondiale procurando lutti massacri e atrocità, il discorso pubblico sia sempre avvelenato dalla rimozione della storia, da cancerosi revisionismi che ribaltano la verità dei fatti. Il 25 aprile 1945 sancisce il trionfo della Resistenza che, con gli eserciti alleati, debellò la peste nazifascista, eppure puntuale ritorna il tormentone, sparso nelle menti istupidite d’un corpo sociale che ignora e financo ripudia il proprio passato, una storiella ammannita come da un capoclasse alla lavagna in un’aula di scolari, che divide i fascisti in “buoni” e “cattivi”, e, peggio ancora, la Resistenza in “buona” e “cattiva”, la prima essendo quella dei partigiani “bianchi”, la seconda di quei malfattori dei comunisti e socialisti, magari, per soprammercato, aggiungendoci pure gli azionisti.

I “buoni” che lottavano per la democrazia, e i “cattivi” per sostituire una dittatura con un’altra. Suona come un’idiozia, e lo è: il risultato di uno specioso uso pubblico della storia ad opera dagli eredi d’un fascismo che non si è mai voluto debellare, con risultati nefasti per le vicende repubblicane: l’accogliere in Parlamento una forza politica che ad esso apertamente si richiamava negli ideali e nella pratica; il travaso nella magistratura, nelle forze dell’ordine e nei gangli vitati dello Stato di elementi che avevano rivestito gli stessi ruoli durante il Ventennio; l’affermarsi dello scelbismo (la repressione violenta e antidemocratica di ogni dissenso, che giungeva sino a sparare sulla folla inerme), poi della stagione della strategia della tensione (insanguinare il Paese con stragi di Stato compiute da frange neofasciste appoggiate da servizi segreti deviati e intelligence di Paesi stranieri) per contrastare l’affermarsi democratico (poiché basato sulle consultazioni elettorali) dell’allora Partito Comunista; la mancata applicazione degli articoli della Costituzione con grave nocumento ai cittadini, e così via.

Quella Costituzione che, la storia insegna, fu figlia degli ideali resistenziali e frutto di un compromesso tra le forze di tutto l’arco politico esistente all’epoca in cui fu redatta ed approvata, dunque della Resistenza tutta. Per arrivare a sancire quella Carta diedero la vita, indistintamente, partigiani e combattenti di ogni schieramento, di ogni fede, di ogni estrazione sociale, intellettuali come gente di popolo, donne uomini e ragazzi, nel nome del supremo ideale della libertà. E a soffermarsi sul dato numerico, il sangue versato dai resistenti ritenuti “cattivi” da speciosi revisionismi è stato ben maggiore degli altri.

Tracciare questa distinzione tra Resistenti “buoni” e Resistenti “cattivi” significa dimenticare, rimuovere, ignorare la storia: la cosiddetta “svolta di Salerno” dell’aprile del 1944, quando Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano, lanciò l’iniziativa e si adoperò per trovare un accordo tra i vari schieramenti antifascisti, la monarchia e il capo dell’Esecutivo Badoglio che consentisse la formazione di un governo di unità nazionale aperto ai rappresentanti di tutte le forze politiche presenti nel Comitato di Liberazione Nazionale, cioè l’organo che dirigeva la Resistenza, accantonando per il momento la questione istituzionale. Iniziativa che, con la mediazione di Enrico De Nicola, determinò il trasferimento di tutte le funzioni ad Umberto di Savoia, Luogotenente del Regno, e l’indizione di una consultazione elettorale per un’Assemblea Costituente, posticipando la scelta della forma dello Stato al termine della guerra.

I caporioni e i loro volenterosissimi servi che dividono il passato tra buoni e cattivi invertendo oscenamente i poli dimenticano, rimuovono ignorano che lo stesso Togliatti, vittima di un attentato in cui rischiò la pelle (14 luglio 1948), impedì con saggia misura che l’Italia sprofondasse nella guerra civile. Dimenticano, rimuovono ignorano che lo stesso capo comunista, in qualità di Ministro di grazia e giustizia, volle l’amnistia che porta il suo nome, provvedimento di clemenza (decreto presidenziale 22 giugno 1946, n.4) giustificato dalla necessità di un “rapido avviamento del Paese a condizioni di pace politica e sociale” e che estingueva le pene per reati comuni e politici, compresi quelli gravissimi di collaborazionismo con il nemico (cioè con i nazisti) e di concorso in omicidio. Provvedimento per più d’un verso improvvido, che costò lacerazioni interne e che riversò nelle strade la feccia nera, cioè i veri cattivi della storia.

Dunque, se una linea va tracciata, è quella che divide fascisti e antifascisti. Non dirsi antifascista, barricarsi dietro fumisterie e ambiguità, equivale a proclamarsi fascista: Dante Alighieri riservava l’inferno agli ignavi.

È fresco uno dei tanti esempi dei danni procurati dal revisionismo, dell’incapacità (voluta, indotta, frutto di ignoranza poco importa) di leggere e interpretare gli eventi del nostro passato: l’incauto conduttore di una seguita trasmissione della Tv di Stato che in diretta nazionale loda e imbroda

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