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Semaglutide, il farmaco dai super poteri

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Il supereroe della salute è arrivato in Italia da pochi giorni. Ha l’aspetto di un’iniezione da praticare nella pancia una volta a settimana, ma noi preferiamo mettere le mani avanti: il fuoriclasse va troppo veloce, pertanto non faremo in tempo a scrivere in questo articolo tutti gli effetti benefici che gli vengono attribuiti che già ne saranno stati scoperti altri. Dar conto di una rivoluzione in corso, del resto, è sempre complicato. In questo caso parliamo del tirzepatide, nome commerciale Mounjaro, «fratello» del più conosciuto Ozempic a base di semaglutide: creati per il diabete di tipo 2, si è poi scoperto che questi farmaci fanno (molto) dimagrire, curano i disturbi cardiovascolari, alcuni problemi renali e i disordini metabolici del fegato. Gli obesi che assumono semaglutide vanno incontro a meno infarti e ictus, mentre chi prende tirzepatide appare più protetto dalle apnee notturne, è meno a rischio di overdose, alcolismo e dipendenze da oppiodi. Alcuni studi, inoltre, suggeriscono che queste molecole possano contribuire a ridurre la demenza nell’Alzheimer, mentre vengono anche testati per l’Adhd (disturbo da deficit di attenzione e iperattività). Non solo: siccome riescono a diminuire gli indici di infiammazione, potrebbero mostrarsi protettivi contro i tumori, mentre ne sono già stati dimostrati i benefici contro l’osteoartrite del ginocchio. E c’è un’ultima sorpresa: le pazienti in età riproduttiva che usano questi farmaci segnalano anche gravidanze non pianificate. Una circostanza che fa valutare gli specialisti della fertilità se incorporarli anche nei trattamenti legati alla ricerca di un figlio.In pratica, semaglutide e tirzepatide sono in sperimentazione per qualsiasi patologia. E tutti li vogliono: il sindaco di Rio de Janeiro Eduardo da Costa Paes, dopo aver perso 30 chili con Ozempic, ha promesso che se verrà rieletto lo farà distribuire gratis agli obesi; mentre il ministro della Sanità britannico, Wes Streeting, ha suggerito di offrire gratuitamente l’iniezione ai gravi sovrappeso inattivi (costano alle casse 13 miliardi di euro l’anno) pur di farli dimagrire e tornare al lavoro.

A tre anni dall’approvazione da parte della Food and drug administration americana, assume questi ritrovati un americano su otto. Sono diventati un fenomeno pop, acquistati a caro prezzo per inseguire il sogno dell’eterna magrezza. E forse anche della gioventù: grazie alla loro capacità di ridurre l’ossidazione cellulare, l’Einstein College di New York li ha inseriti tra i primi quattro farmaci per prolungare la durata della vita. A Milano non c’è centro medico-estetico di alto livello che non abbia qualcuno che li prescriva: anche a chi è sano e nemmeno tanto sovrappeso, ma vuole solo perdere qualche chilo. Sul «dark web» bastano pochi minuti di ricerca per trovare Ozempic e Mounjaro, ma anche il «vecchio» Rybelsus (sempre a base di semaglutide) in compresse, a prezzi che toccano in certi casi le migliaia di euro. Del resto, negli Usa, il mondo della criminalità organizzata si è impossessato del mercato nero, e Mounjaro e i suoi fratelli sono talmente diffusi che il boss della mafia Dwight Manfredi (interpretato da Sylvester Stallone) nella serie tv Tulsa King paragona il guadagno dallo smercio illecito di Ozempic a quello della droga. Manie a parte, rimane la scienza: come funzionano questi fuoriclasse della chimica che riescono (così sembra, perlomeno) a curare quasi tutto? Sappiamo che, oltre a rallentare lo svuotamento gastrico e a controllare i livelli di insulina, hanno un «dialogo» aperto con il cervello. «Semaglutide è un agonista del recettore GLP-1, sigla che sta per Glucagon-like Peptide» spiega a Panorama Caterina Guidone, esperta in Patologie dell’obesità al dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche del Policlinico Gemelli di Roma. «Agisce legandosi ai recettori cerebrali, inibendo la sensazione di fame e aiutando così il paziente a gestire correttamente la dieta». Non solo: stimolando i cosiddetti «circuiti della ricompensa», aiuta nella gestione delle dipendenze da alcool e da droga. «Con questi principi attivi si è trovato un “passaggio” per penetrare il sistema nervoso centrale e colpire l’ipotalamo» precisa Paolo Sbraccia, ordinario di Medicina interna all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. «Mentre la semaglutide è un mono-agonista e si lega solo al recettore GLP-1, tirzepatide va ad agire anche sul GIP - Glucose-dependent intulinotropic polypeptide. Con questa doppia azione, offre un’efficacia sensibilmente migliore della semaglutide: in un anno riesce a far perdere circa il 22,5 per cento del peso corporeo, mentre Ozempic e Wegovy - nella formulazione specifica per l’obesità - si fermano al 16,9». Entrambi i farmaci sono indicati sia per le persone obese, con indice di massa corporea superiore a 30, sia per chi è in sovrappeso, con indice tra 27 e 29 e con almeno una complicanza come diabete o ipertensione. «Noi li proponiamo a tutti i pazienti che rientrano nel target» continua Guidone «per curare i drammatici effetti dell’obesità: dopo anni in cui, per questi malati, non funzionava mai niente, è arrivata la svolta». E di svolta, o di rivoluzione, parla qualunque specialista. I cardiologi, per esempio, ne hanno fatto il centro dei loro convegni, anche in vista di quanto dovrà arrivare. «Non c’è ormai una conferenza cardiologica in cui non se ne discuta» racconta Davide Capodanno, ordinario di Cardiologia all’Università di Catania. «A Washington si è da poco svolto uno dei principali congressi mondiali di cardiologia interventistica, il TCT, durante i quali, normalmente, si sente parlare più di stent e valvole impiantabili che di farmacologia. Ebbene, quest’anno numerose sessioni sono state dedicate alla semaglutide, mentre di tirzepatide si discuterà a Chicago, al congresso dell’American Heart Association, con la presentazione dello studio Summit, condotto su pazienti con una forma di scompenso cardiaco associata all’obesità. I risultati sono già annunciati come positivi». Il che potrebbe far cambiare i protocolli, dato che le evidenze scientifiche corrono più veloci delle linee guida. «L’ultimo studio, pubblicato il 30 agosto 2024, ha provato che pazienti che assumono questi farmaci hanno meno probabilità di morire per qualsiasi causa, comprese le malattie cardiovascolari e le infezioni come il Covid-19» spiega nel suo libro Rivoluzione terapeutica, uscito per Mondadori, Camillo Ricordi, direttore del Centro trapianti cellulari e direttore emerito del Diabetes Research Institute dell’Università di Miami.

Anche per questo, alcuni neurologi ammettono «off the record» di prescriverli già a pazienti con Alzheimer precoce, dato che le evidenze scientifiche sono numerose e il malato che corre verso la demenza non ha tempo di attendere: ha bisogno di qualcosa che sia più veloce della malattia, e gli agonisti del GLP-1 lo sono. «In futuro, l’uso degli agonisti del recettore GLP-1 potrebbe essere ampliato in ambiti come fibrillazione atriale, cancro e malattie neurodegenerative» conclude Capodanno. «Il paradigma potrebbe diventare quello di iniziarli in soggetti con marcatori precoci, al fine di prevenire determinate malattie anziché trovarsi più tardi a doverle trattare».Le dolenti note, però, si chiamano soldi: per un trattamento di un mese con Ozempic (o Wegovy) a dosaggio pieno si spendono in Italia circa 380 euro, mentre con Mounjaro la spesa è superiore ai 400. I brevetti della semaglutide in India, Cina e Brasile scadranno nel 2026 e in Cina si lavora già a diversi tipi di generici, mentre si calcola che nel 2031 il mercato di questi farmaci raggiungerà i 150 miliardi. Al momento, in Italia il Servizio sanitario nazionale non rimborsa chi assume semaglutide e tirzepatide per l’obesità, ma solo chi li utilizza per il diabete, perché la spesa non potrebbe mai essere sostenibile in virtù del numero di obesi e della durata delle cure. «L’obesità è una malattia» avverte Sbraccia. «Quindi il farmaco andrà assunto a vita. Perché, così come ritorna la pressione alta se interrompe l’antipertensivo, se interrompi il farmaco anti obesità riprenderai i chili persi». Senza considerare il fatto che l’obesità è associata a oltre 200 complicazioni, tra le quali diabete di tipo 2, tumori, malattie cardiovascolari e malattie respiratorie, con ovvie conseguenze sulla mortalità e la morbilità: ridurla e curarla potrebbe quindi far risparmiare al SSN somme ingenti, già a breve termine e ancor di più sul lungo periodo. Fin qui il mondo dei laboratori, dei congressi e degli studi. Fuori, c’è la realtà. Quella di Livia, 47 anni, che a fine 2023 pesava 146 chili, e oggi dopo 10 mesi di cura con i «supereroi» è scesa a 104. «Non uscivo più di casa» dice a Panorama, convinta a raccontare la sua storia dai medici del Gemelli che la curano. «Come fai ad andare in un locale, se le sedie non ti contengono? Come fai ad avere una vita normale? Con me non ha mai funzionato nulla, né dieta né altro. Questi farmaci, invece, mi hanno cambiato la testa, hanno placato il pensiero ossessivo di mangiare. Ho perso 40 chili, la strada è ancora lunga: ma sono una donna diversa». Però, nonostante le evidenze scientifiche, nella variegata comunità dei medici italiani c’è chi dice - ancora - no. Gli endocrinologi, per esempio, non sono sempre propensi a prescrivere questi farmaci, e durante la nostra inchiesta ci siamo imbattuti in testimonianze di pazienti che non riescono a curarsi. «Spinto dalle notizie positive che arrivano sulla semaglutide» racconta N.B., 51 anni, obeso da più di 20, «mi sono rivolto a un endocrinologo, professore universitario, che mi ha liquidato e “rimbalzato” dal nutrizionista. Peccato che con me le diete non abbiano mai funzionato». Ma siamo sicuri che questo «freno tirato», in nome della cautela o di un certo tradizionalismo terapeutico, in un mondo dove (dati Oms) c’è un miliardo di obesi e quasi 20 milioni di morti per malattie cardiovascolari, sia così giustificato? «I nostri dubbi ci tradiscono, e impedendoci di affrontare la battaglia ci precludono sovente i dolci frutti della vittoria» scriveva Shakespeare nel 1604. Non era un medico né uno scienziato, ma aveva ragione.

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