“Faccio il sugo di nutria, ha una carne tenera e gustosa ottima per i bigoli al ragù. È tenera e gustosa come il coniglio, piace sempre”: parla lo chef Daniele Pivatello
Immaginate di andare al ristorante, arrivare magari già affamati o semplicemente con l’acquolina in bocca. Vi sedete al tavolo, aprite il menù e iniziate a leggerlo voluttuosamente, pregustando già l’idea dei piatti che vi sono illustrati. Poi ad un certo punto leggete qualcosa che stona, strabuzzate gli occhi pensando di aver letto male e invece è tutto vero: il sugo di nutria. A cucinarla è lo chef Daniele Pivatello, 58 anni, cuoco originario di Cerea e residente a Gazzo Veronese, che al Corriere della Sera parla della nutria come di “un ingrediente qualsiasi”.
“A New Orleans è un piatto come un altro”, racconta. “La cucinano in umido abitualmente, è un piatto popolare. Come potremmo considerare noi lo spezzatino”. Un’abitudine che Pivatello ha osservato da vicino durante i suoi viaggi di lavoro negli Stati Uniti, dove la nutria compare nei menù accanto ad altri animali considerati insoliti in Italia. “In Louisiana la nutria convive nei menù con i cosiddetti gamberi killer”, spiega. “Li buttano in grandi pentoloni, poi sul tavolone, per riempirli di chili e spezie, perché non c’è molta carne. Ma è una festa collettiva”.
Un approccio diretto, pragmatico, che nasce dall’esperienza internazionale dello chef. Pivatello lavora infatti per una ditta che produce macchinari per perforazioni in tutto il mondo e segue clienti provenienti “dalla Nigeria al Canada, dagli Stati Uniti all’Europa”. “Lavoro nelle sale meeting, preparo buffet e cene di gala per chi viene a firmare contratti. Vado alle fiere a Monaco, a Las Vegas, San Francisco, tutti eventi enormi”, racconta. Ed è proprio questo confronto continuo con altre culture alimentari ad avergli cambiato prospettiva. “Fuori dall’Italia c’è molta più curiosità. Il coniglio non fa impressione? Eppure se togli pelle e testa, la nutria sembra proprio un coniglio”.
Dal punto di vista culinario, per Pivatello le possibilità sono molte. “Puoi fare lo stufato, il brasato, il ragù. Io ho preparato i bigoli con la nutria, come avrei fatto con l’anatra o con le sarde”. La carne, spiega, è particolarmente adatta alle cotture lente. La preparazione parte da un battuto classico di sedano, carota e cipolla: “Lo fai rosolare bene, lo devi caramellare”. Poi si aggiungono “le due metà della nutria”, si sfuma con vino bianco e si prosegue la cottura con brodo vegetale “finché la carne si spella con le mani”. A quel punto il fondo viene frullato e rimesso nel ragù. “Viene un sugo pieno, elegante. Non serve coprirlo”.
Prima della pandemia, lo chef aveva anche pensato di spingersi oltre: “Avevo in mente di organizzare una fiera dal titolo ‘Quel che se moe, se magna’”, spiega, citando il dialetto veneto: “Quello che si muove, si mangia”. L’idea prevedeva “uno stand con la nutria, interpretata in due o tre portate”, ma anche “stand con portate a base di farina di cavallette, grilli e altri insetti già presenti nel commercio alimentare”, oltre a food truck americani “con panini di alligatore e serpente”. Il Covid ha fermato tutto, almeno per ora. Dal punto di vista normativo, Pivatello è chiaro: la carne di nutria “non è commercializzabile”, ma può essere cucinata per autoconsumo. E in questo contesto, racconta, la richiesta esiste: “Faccio anche lo chef a domicilio. Ogni tanto qualcuno mi chiama per mangiare proprio la nutria. Se qualcuno vuole, gliela preparo volentieri”. Tra i commensali, spesso, c’è chi non l’ha mai provata. “Superata la titubanza iniziale, piace sempre”. Il motivo, secondo lui, è semplice: “È una carne bianca, delicata, con un sapore molto diverso dalla selvaggina. La nutria è vegetariana, si nutre di germogli, vive nell’acqua. Insomma ha una fibra pulita”. Per Pivatello, l’unico vero ostacolo resta quello culturale: “Sembra di essere piombati agli anni del proibizionismo in America: più dici che non si può mangiare, più fa paura”, conclude.
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