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Winners just win: le eredità della Supercoppa in casa Milano (ma non solo)

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Cosa rimane della Eurosport Supercoppa 2020? Quali i temi principali in casa Milano e Bologna dopo la finale? La nostra analisi.

L'articolo Winners just win: le eredità della Supercoppa in casa Milano (ma non solo) proviene da All-Around.

Milano, 21 settembre 2020 – Prendiamo in prestito le parole di Kyle Hines in una delle tante stories di Instagram della serata di ieri per esordire nella nostra analisi del dopo Supercoppa. 

“Il mio obiettivo è vincere titoli, è il motivo che mi anima e per il quale sono qui. E’ ciò che ho tentato di fare per tutta la mia carriera. Far parte di un gruppo di alto livello per riportare Milano alla gloria di un tempo è una motivazione ulteriore” 

Kyle Hines lo aveva detto subito, nella sua conferenza di presentazione come nuovo acquisto biancorosso. Lo ha fatto. 

Kyle Hines si è confermato ancora una volta un Campione. Con la C maiuscola. Campione fra i campioni. Questa è la prima istantanea che ci lascia l’ultimo, bellissimo e intenso atto della Final Four di Bologna. E questa è proprio l’immagine che aveva in mente il General Manager Christos Stavropoulos al fianco dell’ex centro del CSKA ai microfoni, il 5 agosto nella elegante cornice dell’Armani Teatro. Quasi con gli occhi a cuoricino. 

Assemblare un gruppo vincente con giocatori vincenti, che hanno già vissuto tante partite come quella di ieri contro la Virtus Bologna, era l’obiettivo in estate. Partite da Uomini Alpha. Professionisti a 360 gradi in grado di elevare il valore della somma dei singoli talenti presenti nel roster. Con la capacità di indicare il cammino nei crocevia dei 40 minuti e, chissà più avanti, di un’intera stagione. 

Da questa conferma non si può che partire per tentare di spiegare quanto di importante lascia il primo trofeo stagionale negli occhi e nella mente del gruppo di lavoro biancorosso in palestra, a partire da oggi. 

Dai cinque punti filati di Gigi Datome sul 64-60 a 3 minuti dalla fine, per esempio. Una tripla dal mezzo angolo e un jumper in uscita dai blocchi per ricacciare indietro una Virtus agli ultimi assalti. Senza esitazioni, senza ferri o tabelloni a dover aiutare quel pallone a far muovere la retina. 

Con la sicurezza di chi ne ha già viste tante ed è, quindi, in grado di infonderla a tutti i compagni di riflesso. E’ stato il colpo di mercato tanto desiderato da tempo per essere determinante in questi momenti. Ha risposto presente alla prima occasione utile, dopo una prima fase essenziale, senza picchi esplosivi. Gestione sapiente del proprio corpo, si è riservato il meglio per la fine. Giù il cappello. 

Considerando anche il primo tempo giocato con il manuale della pallacanestro sotto braccio, l’MVP della finale secondo il sottoscritto, ma è la cosa che conta di meno. Così come è importato molto meno, a tutti, dei 38 minuti opachi di Sergio Rodriguez prima della tripla del ciaone a 52 secondi dal termine che ha sigillato il successo milanese. Potere delle leggende

Nel “lungo” weekend bolognese, Milano ha mostrato anche la capacità di saper rispondere con autorevolezza nei momenti di black-out. Vedasi terzo quarto in semifinale contro l’Umana Reyer Venezia oltre a quello di ieri. Frangenti in cui effettivamente l’inerzia della partita, parafrasando Coach Sasha Djordjevic, avrebbe potuto sfuggire di mano. 

L’Olimpia ha mantenuto costantemente il pallino laddove lo scorso anno, sarebbe crollata, in primis sul piano mentale. Quante volte, nella scorsa stagione, abbiamo visto diversi giocatori fare un passo indietro, delegando le responsabilità ai soliti Rodriguez e Micov? Con le difese avversarie ad avere gioco facile, concentrando le attenzioni su di loro e prolungando pericolosamente la carestia offensiva della squadra di Messina. 

Il contrario di quanto visto finora, indipendentemente dai parziali che fanno parte di una partita di pallacanestro. Questo perchè ci sono molti più punti di riferimento, come già detto, ma anche perchè molti si sentono responsabilizzati e destinatari di compiti chiari e alla propria portata

Più facile reggere l’urto e mantenere la barra dritta quando si ha un’altra certezza granitica che si chiama difesa. 67 punti concessi ai Campioni d’Italia in semifinale, 68 alle V Nere. Con 16 palle perse forzate e 13 recuperi. 

Una velocità nei raddoppi e, a ruota, nelle rotazioni cui non si assisteva dalla primavera incantata del 2014 griffata Luca Banchi. Un desiderio di attaccarsi all’uomo e non farsi battere facilmente 1vs1 estranea nel recente passato e conditio sine qua non per costruire una stagione di successi. 

Un sistema che ha ulteriori margini per limare alcuni passaggi a vuoto,  fisiologici alla terza settimana di settembre. Un’organizzazione, però, molto consapevole dei propri punti di forza e delle sue fragilità, strutturali e attitudinali, e che, di conseguenza, compie delle scelte nette. 

La Milano di Ettore Messina ha accettato la prospettiva di concedere qualcosa in più vicino al ferro. Per caratteristiche del roster ovviamente, che non ha moltissimo da opporre in quella zona del campo, ma in parte scientemente e non va nemmeno sottovalutato questo aspetto. 

Gli attacchi sono ormai sempre più sbilanciati sulla spinta degli esterni, in una pallacanestro largamente omologata sul pick and roll come punto di partenza dei giochi e chiave di accesso all’area avversaria. Non concedere vantaggi dal palleggio con frequenza, allora, è diventata la missione principale e Milano, da questo punto di vista, sembra averne compreso appieno la portata. 

Perni indispensabili lunghi dimanici e dai piedi rapidi come Jeff Brooks e, manco a dirlo Kyle Hines, punte di spicco nella catena dei cambi difensivi che li porta a incrociare la traccia degli esterni sul perimetro. Anche un po’ a sorpresa, invece, a eccellere sono stati due giocatori riconosciuti primariamente attaccanti di razza come Kevin Punter e Malcolm Delaney

L’ex Stella Rossa è stato una zanzara costante, agente speciale di Ettore Messina da appiccicare alla prima opzione offensiva avversaria. Specialmente nei primi minuti di gioco, quando c’era da far capire chiaramente e immediatamente l’antifona. Compito svolto egregiamente, oltre ogni più rosea aspettativa. 

L’MVP della Supercoppa non ha fatto altro che lasciarsi coinvolgere dal clima “operaio” e ha contribuito a limitare il trio Markovic-Adams-Teodosic a 11 punti e 3/17 al tiro. 

Per completare l’opera, però, c’era bisogno che i due esprimessero una supremazia nell’altra metà campo e così è stato, nonostante percentuali non invidiabili. Insieme a Sergio Rodriguez, hanno prodotto 34 punti e 7 assist. Non è stata l’unica chiave della vittoria. Tuttavia, oggi, nella strategia di una partita ha un grande peso. 

Infine, il turnover. Spada di Damocle in diversi passaggi della scorsa stagione, si è trasformato in opportunità e compagno fedele di Messina in questa Supercoppa. Il coach catanese ha potuto far girare gli stranieri a propria disposizione senza soluzione di continuità nella prima fase. Senza che il rendimento generale avvertisse contraccolpi pesanti e con la possibilità di gestire i minutaggi senza oltrepassare la soglia di guardia

Arrivati al momento del dunque, naturalmente sono state tirate le somme ed è giunto anche il momento di scelte circostanziate. Qualche mese fa, dover rinunciare a un Micov, a Rodriguez o a un lungo avrebbe scatenato il panico. Questa Milano si è permessa di battere con autorevolezza Bologna rinunciando a un difensore eccellente sul perimetro come Shavon Shields. A un tiratore come Michael Roll oppure a un lungo dai piedi e dalle mani svelte come Zach LeDay

Concedendosi pure il lusso della rinuncia a Vlado Micov dopo quattro minuti (distorsione al gomito sinistro) e di un Malcolm Delaney a mezzo servizio nella ripresa per un piccolo problema al ginocchio occorso durante il secondo quarto. 

Un torneo dalla natura tradizionalmente aleatoria come la Supercoppa non può certo dare tutte le risposte, men che meno definitive. Ragione per cui il primo alloro del ciclo Messina non consente ancora particolari voli pindarici. L’Olimpia andrà ovviamente ricalibrata sulla continuità mancata negli ultimi anni e in ambito europeo, crash-test in grado di testare ancora più fortemente certe criticità strutturali finora solamente intraviste. 

Tuttavia, se il buongiorno è questo, il resto della giornata potrebbe essere accompagnato da un cielo terso. 

“Non mollare”. Il messaggio virtussino è chiaro, per quanto obbligato. Non abbiamo dubbi che sarà così. Fase a gironi balbettante, senza farsi mancare lo spettro di una clamorosa eliminazione per merito di una gagliarda UnaHotels Reggio Emilia. Giusto, ma la Virtus è squadra vera, tosta, fisica e carismatica.

Ne è venuta fuori e, per quanto abbia dovuto arrendersi alla attuale superiorità dell’Olimpia, esce da questa Supercoppa forse segnata sul piano psicologico, ma senza perdere la consapevolezza della propria forza da assoluta candidata. 

Intanto, si porta a casa la crescita, strada facendo, di alcuni ragazzi sui quali la società ha investito parecchio e c’è parecchia fiducia mista ad aspettativa. Amedeo Tessitori è stato sfortunato nel non poter prendere parte alla finale e la sensazione è che avrebbe potuto rappresentare arma tattica importante, anche più del generoso Vince Hunter. Resta l’ottima impressione destata nella semifinale contro il Banco di Sardegna Sassari, nonostante la notte da Superman di Miro Bilan

Awudu Abass ha ancora tutta la stagione davanti per acquisire quel carisma che gli serve per compiere il salto di qualità definitivo. Ci sono due compagni e un allenatore idonei a centrare l’obiettivo. Alcuni canestri di ottima fattura tecnica contro Milano e, soprattutto, le giocate che hanno dato il là al parziale decisivo per superare Sassari testimoniano le potenzialità del ragazzo. Buon lavoro. 

Amar Alibegovic è stato il colpo di mercato di qualità soffiato alla concorrenza della stessa Milano. E dell’Olimpia è stato la spina nel fianco principale in quel secondo tempo che ha consegnato una speranza. Cresce a vista d’occhio, con la forza del lavoro. Inizia a dire qualcosa anche in difesa, autentico tallone d’Achille nella sua fin qui giovane carriera. Pepita da maneggiare con cura. 

Veniamo anche alle note dolenti. Sarà considerazione abbastanza banale, ma alla Virtus restano solamente i complimenti senza la versione reale dei fenomeni serbi. Così, l’argenteria finisce altrove. Guai a dimenticarsi di quei satanassi dei De Raffaele Boys in questo senso, che già un dispiacere lo hanno recato ai bianconeri. 

Entrambi sono apparsi in ritardo di condizione. A una scarsa brillantezza, Stefan Markovic ha aggiunto un nervosismo e una capacità di auto-escludersi dalla partita decisamente sorprendenti. La finale con Milano non ha fatto eccezione. 

Se poi Milos Teodosic torna a dover fare i conti con alcuni fantasmi del passato, allora non bastano più le magie da artista visionario quale è per far quadrare i conti. 

Se Josh Adams, dopo i primi segnali positivi emersi in semifinale, torna l’oggetto misterioso della Virtus 2020-21, allora si fa buio p(r)esto. Ineludibile il tema. Ha ricevuto l’investitura di ciliegina su una torta che è stata particolarmente gustosa prima dello stop per la pandemia. E’ stato considerato il completamento migliore della coppia serba in relazione alle proprie possibilità e alle circostanze. 

Fino a questo momento, del giocatore più spettacolare dell’ultima Liga ACB si sono visti solamente alcuni bagliori. La sensazione personale, sedimentata nel tempo e costruita già dopo la prima esperienza di peso all’Anadolu Efes, è che sia giocatore che ha troppa necessità di autonomia e palla in mano per rendere al meglio e, dunque, essere l’incastro migliore nel puzzle bolognese. 

La scelta è stata fatta e tanto tempo vi è davanti per trovare i giusti equilibri complessivi, oltre che la cornice ideale per lui. E’ obbligatorio che sia così. Tanto delle sorti della stagione della Virtus passa dalla rimozione di questa spina. 

Rapida chiusura dedicata ai dati di ascolto. 125.000 spettatori hanno seguito gli ultimi 40 minuti del Torneo su Canale Nove, spazio in chiaro dedicato da Discovery per l’evento, per lo 0,8% di share. 

Certamente siamo lontani anche solo dal 1.600.000 (10.1%) per la gara di Misano della MotoGp e nemmeno vicini ai 342.000 (2.8%) della Superbike. Non è risultato malvagio, però, considerando che la stessa partita era trasmessa su Eurosport 2 e su piattaforme come Eurosport Player e Tim Vision e tenendo conto anche del fatto che la finale, sostanzialmente, non è stata anticipata da una campagna pubblicitaria strutturata

Certo, se si guarda ai 452.408 spettatori sintonizzati su Rai Due lo scorso 29 dicembre per Virtus-Olimpia dell’ultima LBA, allora si intuisce come siamo comunque al piano terra e tutto resta da fare. Speriamo che le ultime aggiunte interne all’Area Comunicazione della Lega possano contribuire a produrre un radicale cambio di passo, non più procrastinabile. 

Immagine in evidenza: Olimpia Milano 

Francesco Sacco

@sacco941 

 

 

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