Belluno, voragini su via Pedeserva: cittadini esasperati
In zona sei casere a rischio isolamento. De Barba: «Basta un camion di ghiaia»
BELLUNO. A quattro anni dal violento acquazzone che si è portato via un pezzo di via Pedeserva, poco o nulla è stato fatto per mettere in sicurezza la viabilità fra San Liberale e Pian de Staol. Siamo sul versante del Serva, in una zona paesaggisticamente di pregio. I proprietari delle sei casere che si incontrano salendo dalla chiesetta sono stanchi di chiedere al Comune di intervenire. «Tante promesse e basta», afferma Paolo De Barba.
Lui ci ha provato in tutti i modi. Ha scritto alla Forestale (che realizzò la strada una trentina di anni fa), ha evidenziato i problemi di sicurezza alla Prefettura, si è rivolto al Comune. «Sono anche venuti a fare un sopralluogo, ma la strada è ancora in queste condizioni», continua. «Saranno dodici anni che faccio segnalazioni».
Le buche sono talmente profonde che si riesce a salire solo con un 4x4. «Io ho bruciato la frizione ormai», ricorda De Barba, «e più di una volta sono andato ad aiutare macchine che si erano bloccate perché gli pneumatici erano finiti in un buco». L’asfalto è stato letteralmente mangiato dall’acqua, della pioggia e dei ruscelli che scorrono in zona, in più punti. I bordi della carreggiata presentano fessure e buche fonde una spanna, se non peggio. Il tratto peggiore è quello che da località Porta conduce a Pra d’ora. L’ultima casera è in località Pian de Staol, poi la strada si trasforma in un sentiero percorribile solo a piedi o in bicicletta.
A far degenerare la situazione è stato un violento temporale a luglio 2018. Ma già prima l’asfalto era stato deteriorato, per il passaggio di alcuni mezzi adibiti all’esbosco. Da allora tutte le richieste di De Barba sono cadute nel vuoto. «A noi basterebbe solo un camion di sabbia, per tappare i buchi, non pretendiamo di avere un’autostrada», precisa. «Ci siamo arrangiati sistemando un po’ le buche più profonde, ma qui si rischia sempre che la strada torni ad essere impraticabile». Le casere (usate come seconde case) a quel punto risulterebbero isolate. E i proprietari non potrebbero raggiungere i boschi dove tagliano la legna, contribuendo anche a tenere in ordine il territorio.
«Il Comune continua a dire che deve intervenire l’Unione montana, l’Unione montana dice che non ha un progetto», conclude. «Ma io mi chiedo: l’Unione montana non è un braccio operativo del Comune? Perché dev’essere sempre tutto così complicato dalla burocrazia? Qui parliamo di portare su un camion di ghiaia».