103news.com
Corriere Alpi
Май
2022

Dall’Ucraina a Voltago, la nuova vita di Masha e del piccolo Roman

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AGORDO. Roman dorme ancora quando Masha (Mariia all’anagrafe) chiude dietro a sé la porta, piano. Non vuole svegliarlo per non rendergli ancora più difficile la separazione. Si rivedranno due anni dopo, quando Roman ne avrà nove. Fuori Havrylivka, paese contadino di duemila anime circa, situato nella parte occidentale dell’Ucraina, si appresta a contribuire all’emorragia umana di cui lo Stato soffre da tempo.

«Quella mattina – racconta Masha – avevo il cuore pesante. Sapevo che sarei andata via per un periodo lungo e che lasciavo Roman con i nonni». Alle 5.30 una corriera la porta a Leopoli da dove ogni giovedì un’altra parte per Belluno. A bordo donne come lei che cercano qualche soldo in più per mantenere figli e famigliari prendendosi cura degli anziani o degli ammalati italiani. Badanti. Arrivata a Belluno l’11 giugno 2015 con un permesso turistico, oggi Masha Fedoryshyn, 35 anni, vive e lavora a Voltago insieme a Mauro Riva, l’uomo che ha sposato il 16 febbraio 2019, e a Roman che ora sta guardando la tv disteso sul divano pensando vagamente alla scuola che lo attende il giorno dopo e con trepidazione al torneo agordino juniores che inizierà fra qualche settimana.

La bandiera dell’Ucraina sventola sulla casa da cui qualche settimana fa sono partiti quattro camion di aiuti umanitari per i luoghi di origine di Masha e Roman dove la guerra è lontana appena otto chilometri. Masha ha ancora il cuore pesante e spera «che l’Italia e l’Europa intervengano per liberare i nostri militari assediati a Mariupol e Azovstal», ma per la cena ha comunque cucinato un piatto tipico, polenta e tocà da boia, così buono che potrebbe valerle per direttissima quella cittadinanza agognata per anni e ottenuta solo in virtù del matrimonio.

Chi fa questo lavoro meriterebbe qualcosa in più da uno Stato ipocrita che chiude gli occhi di fronte alla mancanza di tutele dei contratti in nero delle badanti e li riapre gelidi quando si tratta di concedere loro diritti e garanzie. «Arrivata a Belluno – racconta Masha – mi sono fermata da Alina, una mia amica, e ho cominciato ad andare in piazza dalle 14 alle 16 insieme alle altre badanti per vedere se ci si poteva aiutare a trovare lavoro. Il primo impiego è stato sul Nevegal come sostituta di una collega che tornava in Ucraina in ferie: quaranta giorni senza giornate libere e senza pause. Nonno Franco mi ha insegnato la cucina italiana. Ho imparato che in Italia si usa la bilancia».

Un po’ alla volta Masha conosce il significato di nuove parole, in qualche caso anche in maniera poco piacevole. «Un giorno – ricorda – mi disse di andare fuori casa, di fare la curva e di prendergli il bastone. Mi sono messa a piangere, perché kurva in ucraino non è una bella parola. Poi ci siamo capiti».

Prima di arrivare a Voltago, Masha è passata per Ponte nelle Alpi, Vittorio Veneto, ancora Belluno, Mel. Alla fine di ogni esperienza c’è sempre Alina ad aspettarla, consigliarla, rincuorarla. Ce n’è bisogno. «Anche a Ponte nelle Alpi ho sostituito una collega che andava in ferie - spiega - Poi sono stata ferma quattro mesi, finché non ho trovato a Vittorio Veneto. La figlia della signora mi ha aiutato molto con la lingua, mi ha anche comprato dei libri. Io, però, non riuscivo a mandare in Ucraina i soldi perché, per farlo, dovevo andare a Belluno per darli all’autista che va avanti e indietro, ma avrei dovuto prendere con me anche la nonna. Alla fine me ne sono andata. A Belluno ho poi trovato una bella famiglia: la signora però non dormiva di notte, ma di giorno, e lo scombussolamento mi ha provocato problemi di salute».

Il lavoro delle badanti ha anche il loro punto di vista, quello delle schiene che si piegano per tirar su persone con disabilità le cui gambe non reggono, quello dei nervi messi a dura prova quando ogni cinque minuti suona il campanello. «Non è facile – dice Masha – dipende molto da cosa trovi: alcune famiglie non trattano bene le badanti, di altre, invece, diventi parte integrante. A me, oggi, manca il prendermi cura delle persone».

La vita di questa giovane donna ucraina è infatti cambiata il 15 gennaio 2017. «Con i soldi guadagnati ero riuscita a cambiare le finestre e il cancello della casa in Ucraina – racconta Masha – mi ero ripromessa di rimanere in Italia ancora un inverno, di metter via ancora qualcosa e poi di tornare dentro. A Voltago sono arrivata nell’autunno 2016. "Dove mi portano? – mi sono chiesta – come faccio a tornare indietro?". Oggi di questo posto, simile ai Carpazi dove andavo a fare le stagioni nei ristoranti e a raccogliere frutti, amo la semplicità e il fatto che puoi essere libera, puoi andare a messa o al mercato in scarpe da ginnastica e jeans senza alcun problema».

Un giorno di dicembre, uscita dal bar dove si era recata per prendere la ricarica del telefono, incontra un gruppo di uomini che stanno fumando. Uno le rivolge la parola chiedendole se è la badante della signora che abita poco sopra di lui. «Non ricordo il giorno – dice Masha – ma Mauro aveva la barba fatta, quindi era o mercoledì o sabato. Notai che era più bello degli altri. Poi, il 15 gennaio ci siamo incontrati alla Coop di Agordo. Io dovevo aspettare la corriera. Lui mi ha salutata, poi mi ha aspettata fuori e mi ha chiesto se volevo un passaggio. Ho accettato, ma prima mi ha portato a bere il caffè. La nostra storia è iniziata così».

Insieme hanno condiviso il funerale del fratello di Masha, seguito al telefono, poi l’odissea per riuscire a ottenere il permesso di soggiorno e per portare Roman in Italia. «A giugno 2017 sono tornata di sorpresa in Ucraina – racconta Masha – gliel’avevo promesso. Avrei voluto fermarmi a casa per due mesi, ma mi hanno avvisato che le regole erano cambiate e se non ripartivo entro una settimana con un permesso turistico non avrei più potuto farlo. Poi abbiamo iniziato a girare per le questure, le commissioni, l’ambasciata di Milano dove un giorno ho capito che se non me ne fossi subito andata dagli uffici mi avrebbero rispedito in Ucraina, plichi di carte e un sacco di soldi, deleghe».

«Sono arrivato l’8 giugno 2018 alle 16.32 al Palasport di Belluno», dice come una macchinetta Roman da dietro lo schienale del divano e non serve aggiungere altro. La posizione di Masha, però, era rimasta in bilico. «In autunno sono entrati in vigore i decreti Salvini – racconta ricordando l’importanza del sostegno datole in quel periodo da Romolina, l’anziana di cui si prendeva cura a Frassené – e la mia domanda per ottenere un permesso per motivi umanitari è stata bocciata. È stata una corsa contro il tempo. È lì che io e Mauro abbiamo deciso di sposarci e Alina mi ha fatto da testimone».

«Con Mauro – dice – abbiamo realizzato due orti dove coltivo una delle mie passioni. Con lui ho realizzato il mio sogno di famiglia e lavoro nella sua fabbrica di astucci per occhiali». Con lui, patron del Dolomiti Rally, ha scoperto anche altro. «Seguivo Mauro nell’organizzazione e nelle gare,– mi interessava capire come funzionava. Così sono diventa Licence Covid Manager nelle ultime due gare, ho fatto un corso per commissario di percorso e per navigatore. Mi piace organizzare, mi piace la precisione, mi piace scoprire come funzionano le leggi in Italia».





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