Latitante da 23 anni non si può giudicare: l’omicidio De Valiere resta un caso aperto
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Il 59enne di Falcade fu ucciso a coltellate. Il procedimento ancora sospeso per ricerche
FALCADE. L’omicidio De Valiere è un caso ancora aperto. Il sospettato Mohamed Aziz Moulay è ancora latitante, a più di ventitrè anni da quella notte tra il 9 e il 10 marzo 1999, in cui Federico De Valiere fu ucciso a coltellate nella sua abitazione di Falcade. Il cittadino marocchino risulta irreperibile e l’avvocato difensore Roberta Resenterra non sa nemmeno se sia ancora vivo o meno. Il giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Belluno, Enrica Marson ha dovuto sospendere un’altra volta il processo per vane ricerche e disporne di nuove, sempre a cura della polizia giudiziaria.
Rinvio inevitabile al 13 luglio dell’anno prossimo e si andrà avanti così fino a quando non ci saranno notizie certe su Moulay, perché il reato di omicidio non si prescrive mai. L’uomo non ha mai ricevuto gli atti del procedimento e potrebbe anche non sapere della sua esistenza. L’ultima informativa della Divisione Anticrimine della Questura di Belluno è dello scorso giugno. Moulay non risulta essere titolare di permesso di soggiorno; viveva a Mel, ma nel novembre 2003 è stato cancellato e l’ultimo controllo dei carabinieri risale al dicembre dell’anno prima.
Moulay era stato anche processato e la Corte d’Assise di Belluno l’aveva assolto per insufficienza di prove. Ma nel novembre 2014 la Corte d’Assise d’Appello di Venezia aveva annullato la sentenza. L’eccezione di nullità era stata sollevata dal procuratore generale e prevedeva il rinvio degli atti al giudice per le indagini preliminari bellunese.
Moulay era amico di De Valiere e si ipotizza che tra i due ci fosse un legame sentimentale. Alcuni testimoni hanno riferito ai carabinieri di aver visto il maghrebino in compagnia della vittima. La morte del 59enne muratore, trovato nudo in bagno con numerose coltellate, fu un mistero fin da subito e gli investigatori restarono senza indagati fino al 2006. Un paio di anni prima, era stata creata la banca dati del Casellario centrale d’identità, dove le impronte dell’imputato si trovavano per piccole segnalazioni: il Ris di Parma riuscì a trovare un riscontro alle impronte su dieci lattine di birra trovate nella cucina del falcadino. Ci sarebbe voluto il Dna, ma non c’è e il procedimento va avanti.