Lauria, il ricercatore che studia la Sla: entra borsista e diventa direttore 

Docente di Neurologia all’Università di Milano, direttore scientifico dell’Istituto neurologico Besta (tra i migliori a livello mondiale), ricercatore nel campo delle malattie neurologiche e della Sla: Giuseppe Lauria Pinter è uno dei cinque bellunesi a ricevere sabato a Sedico il premio della Provincia, di Abm e del Rotary dedicato ai bellunesi che onorano la provincia in Italia e nel mondo.

Lui ha scelto l’Italia, dove è tornato nel 1997 dopo un periodo trascorso alla Johns Hopkins University di Baltimora e alcuni mesi a Barcellona. In precedenza la laurea a Padova in Medicina e la specializzazione a Ferrara in Neurologia. Tra Padova e Ferrara c’è un anno molto intenso e che ricorda con molto piacere: «Ho esercitato anche come medico di base, con prima sostituzione a Lamon», sottolinea, «ma ho anche frequentato come volontario il reparto di Neurologia dell’ospedale di Belluno, diretto dal primario Fassetta, una persona eccellente a cui sono affezionato».

In quel periodo riceve una borsa di studio del Rotary per fare studi sull’ictus, girando molti ospedali della provincia; studi che sono stati pubblicati in riviste specialistiche e sono ancora molto citati. Dopo la specialistica, arriva il periodo in America, «dove ho imparato una tecnica innovativa che a quel tempo in Europa non esisteva e l’ho portata in Italia».

Il professor Lauria Pinter entra da borsista all’Istituto neurologico Besta di Milano, dove inizia la carriera di neurologo che lo ha portato a essere il direttore di quello stesso centro e a ricoprire altri incarichi importanti nel campo delle neuroscienze.

Lei svolge la sua attività in Italia, mentre molti altri colleghi sono critici sulle possibilità di carriera e di ricerca nel mondo accademico nazionale.

«Ci sono critiche fondate, che originano da una distanza culturale tra il nostro Paese e il mondo anglosassone. Nazioni come gli Usa, l’Inghilterra, ma anche la Francia hanno investito cifre molto ingenti rispetto al Pil nella ricerca e nella formazione. In Italia sono state fatte scelte diverse e la ricerca e la formazione hanno scarsi investimenti. Non è facile cambiare questo modello culturale, ma va anche detto che alcune cose sono migliorate, c’è una generazione nuova con capacità di comprendere il significato della competitività nel campo della ricerca. E anche le strutture di governance delle Università sono cambiate. Tra l’altro, in tanti settori della ricerca, come nelle neuroscienze, le performance italiane sono molto elevate».

Cosa si può dire a un giovane neo laureato che sta cercando di capire quale strada scegliere?

«Per la mia esperienza posso dire che conta la fortuna di avere una passione. E i medici e i ricercatori hanno questa passione. Serve poi l’impegno verso la conoscenza, elemento fondante per determinare come usare il tempo e darsi delle priorità. E per quanto riguarda la formazione nel mio campo, cioè la medicina, va detto che quella italiana è una delle scuole di medicina migliori del mondo: formiamo medici in modo eccellente, le scuole di specializzazione sono buone. Quella che va migliorata è la fase finale, quella dei dottorati. In questo senso ci sono nuove leggi che hanno introdotto modifiche valide, positive. È comunque importante fare esperienze all’estero e confrontarsi con gli altri: alcuni giovani resteranno all’estero, altri torneranno, si sceglie sulla base di tante cose».

Qual è il suo campo di ricerca?

«Mi occupo di ricerca nel settore delle patologie del sistema nervoso periferico, del dolore neuropatico e della Sla. Una attività di ricerca che è parallela all’attività clinica, a contatto con i pazienti».

Ci sono spiragli di speranza per i malati di Sla?

«È una malattia degenerativa per la quale non ci sono ancora terapie efficaci, ma ci sono studi molto avanzati, anche nel mio istituto: in dieci anni c’è stata una grande evoluzione delle conoscenze che hanno portato a capire meglio le basi della malattia e a sviluppare delle potenziali traiettorie terapeutiche, come la terapia genica che in altri contesti neurologici si è dimostrata efficace. Il nostro impegno è verso una migliore comprensione delle cause. Gli studi accademici poi attirano l’attenzione dell’industria farmaceutica, si lavora in modo congiunto».

Mantiene rapporti stretti con il Bellunese?

«A Belluno ho la famiglia e gli amici, alcuni sono compagni di liceo con cui ci sentiamo di frequente. Poi sono appassionato di sci e di escursioni in montagna durante l’estate. Ho carissimi ricordi, anche della scuola Gabelli: assieme a un mio compagno, andavo a fare l’alzabandiera, in grembiule e pantofole, quando c’era il preside De Lorenzo».