Via al censimento dei lupi nel Bellunese, esperti al lavoro con le fototrappole
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foto da Quotidiani locali
C’è chi parla di invasione e chi teme che la situazione sia, o stia andando rapidamente, fuori controllo. Una sensazione diffusa soprattutto tra gli allevatori, che da tempo si trovano a fare i conti con il ritorno del lupo in provincia, ma l’allarme è ormai talmente diffuso da impaurire anche chi semplicemente frequenta i boschi nel tempo libero. Ecco perché è quanto mai necessario capire con esattezza come stanno le cose.
Si può considerare ormai avviato il primo vero e proprio censimento dei branchi di lupi presenti nel Bellunese. L’iniziativa è dell’ente Provincia, che si avvale di consulenti esperti e degli uomini del Corpo di polizia provinciale. «Negli ultimi mesi, in collaborazione con la Provincia, si è dato il via a un censimento dei branchi di lupi che vivono nel bellunese», spiega Marco Apollonio, il principale consulente di Palazzo Piloni. «La Provincia sta facendo un bel lavoro di verifica e monitoraggio dei lupi e vorremmo produrre uno studio con un buon livello di attendibilità e dare all’ente strumenti conoscitivi precisi. Il censimento avviene principalmente con l’utilizzo di fototrappole piazzate all’interno di griglie territoriali predeterminate e confrontando i risultati che emergeranno con i dati del recente passato. In questo modo contiamo di fornire nuovi dati precisi sulla consistenza dei branchi, cioè dell’unità sociale tipica dei lupi. Le fototrappole sono già tutte fuori e a marzo ci sarà un primo incontro in Provincia per fare il punto».
«È compito dell’amministrazione provinciale, in accordo con la Regione Veneto, tenere monitorate tutte le specie di selvatici presenti sul territorio. Di conseguenza, la Provincia tramite la Polizia Provinciale e i suoi uffici effettua costantemente censimenti di tutti i selvatici», ricorda il presidente di Palazzo Piloni, Roberto Padrin. «In questo quadro si inserisce il monitoraggio del lupo, competenza primaria della Regione che la Provincia effettua su mandato della Regione. Il lupo è una novità degli ultimi anni che ha anche una forte correlazione e interazione con la vita dell’uomo. Il monitoraggio quindi risponde anche all’esigenza di raccogliere e dare informazioni corrette ai territori e ai cittadini».
I danni subiti dagli allevatori negli ultimi anni, ma anche il timore delle persone, richiedono infatti risposte innanzitutto sull’esatta diffusione dei lupi: «Sappiamo che ci sono branchi che si stanno dimostrando dannosi per gli allevatori, altri invece che sono quasi invisibili. Il nostro compito è quello di saperne di più», prosegue Apollonio, che in parallelo sta proseguendo anche l’attività di monitoraggio di due lupe, dominanti e riproduttrici, una all’interno del Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi, l’altra sul Monte Grappa. In marzo riprenderanno le catture all’interno del Parco, nella speranza di intercettare esemplari appartenenti a un branco diverso da quello della femmina radiocollarata sui Piani Eterni. Infine, sempre sul Grappa, prosegue il progetto che vede la Provincia collaborare con l’Università di Sassari in uno studio incrociato tra lupi e camosci.
Lo studio sui veleni
Apollonio è coautore anche di uno studio che ha scoperto la presenza dei veleni contro i topi nella catena alimentare, fino ai livelli più alti della piramide. La ricerca è stata condotta con altri esperti come Jacopo Cerri e Carmela Musto delle Università di Sassari e Bologna, che collaborano stabilmente con la Provincia di Belluno.
La ricerca è stata mossa dalla necessità di riempire una lacuna, quella relativa agli effetti dei veleni per topi sui grandi carnivori, visto che finora si conosceva il loro impatto solo sui piccoli e i mesocarnivori. I risultati hanno messo in luce un’ampia presenza di anticoagulanti specifici che sono alla base dei veleni per topi.
Apollonio e i colleghi hanno analizzato le carcasse di 186 lupi morti recuperati tra il 2018 ed il 2022 nel nord e nel centro Italia e sottoposti a necroscopia nelle sedi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia-Romagna e all’Università di Bologna.
L’esito delle indagini ha, appunto, mostrato ciò che gli studiosi temevano: ben 115 lupi (cioè il 61,8% del campione) risultavano positivi al test che ha rivelato la presenza di diverse tipologie di veleni, tutti anticoagulanti di seconda generazione. Il fenomeno è più elevato nei lupi che vivono in prossimità di aree antropizzate ed è cresciuto dal 2020 in poi.
«Nei lupi abbiamo trovato quattro tipologie diverse di veleni», spiega Apollonio. «Questa è una pessima notizia in generale, non solo per i lupi, perché significa che queste sostanze tossiche sono entrate nella catena trofica fino al livello più alto». Gli esemplari analizzati non erano morti a causa dei veleni ingeriti attraverso le loro prede: «Ma non è certo una buona notizia», sottolinea Apollonio. «L’origine della contaminazione può essere duplice: o si tratta di lupi che vivevano vicino alle case dove viene messo il veleno e hanno mangiato dei topi, oppure dobbiamo pensare che gli anticoagulanti siano talmente diffusi nella fauna da finire nei lupi»