Il Veneto decide sulle starlight rooms: tutto sul progetto delle stanze di vetro in montagna
foto da Quotidiani locali
Martedì 6 febbraio il voto sul progetto di legge regionale è saltato per l’assenza dell’assessore di riferimento, il titolare del turismo Federico Caner. Assenza strategica per tener coperta una spaccatura nella maggioranza, come attaccava il Pd, o motivata da un’influenza vera, ormai poco importa: le starlight rooms sono pronte a tornare in aula. Per diventare realtà, con la possibilità di autorizzare fino a 172 alloggi vetrati sulle montagne venete, o facendo naufragare un progetto che a Cortina ha già mosso i primi passi, in deroga.
Il progetto di legge
La norma, elaborata dalla giunta, allenta le maglie del divieto a nuove costruzioni sopra i 1600 metri, contenuto nella legge regionale del 2013 sullo sviluppo e la sostenibilità del turismo. Nel passaggio in Commissione, lo scorso 8 novembre, aveva incassato il “no” non soltanto dell’opposizione, ma anche del leghista Marzio Favero, molto vicino al presidente Luca Zaia. Relatore in aula sarà Silvia Cestaro, consigliera regionale di Selva di Cadore, della Lega.
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Le stanze panoramiche – recita il testo – sono “stanze di vetro e legno o altro materiale, anche innovativo, ecosostenibile o comunque di basso impatto, collocate stabilmente sul suolo, caratterizzate da un elevato rapporto tra superficie finestrata e quella del pavimento”. Consentono al turista ospite di osservare in modo particolarmente ampio sia il paesaggio circostante, sia il movimento degli astri nel cielo, grazie alle superfici vetrate proporzionalmente più grandi rispetto alle finestre dei normali locali di pernottamento delle altre strutture ricettive. “Si tratta di una struttura ricettiva in ambiente naturale, che, come le altre, ha l’obiettivo di far vivere emozioni intense e durature al viaggiatore attraverso esperienze per lo più personalizzate nell’ambito di quello che si è oggi affermato come turismo emozionale”.
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Due licenze all’asta ogni comune
Le “camere di vetro” possono essere realizzate – “al pari delle malghe, dei rifugi alpini e dei bivacchi, anche oltre l’altitudine di 1600 metri” limite posto dalla normativa urbanistica regionale, fatto salvo comunque il rispetto del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” e sempre che siano osservate queste precise condizioni: numero massimo complessivo di due strutture nell’ambito del territorio comunale interessato; capacità ricettiva massima di due posti letto per ciascuna struttura. L’autorizzazione compete ai Comuni, che possono prevedere ulteriori limitazioni anche dimensionali, e dovranno mettere a bando le licenze. Ovviamente dovranno approvare una variante al proprio strumento urbanistico finalizzata alla perimetrazione e alla puntuale disciplina degli ambiti naturali interessati dalla realizzazione delle nuove strutture ricettive.
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L’apripista al Col Gallina
Ad introdurre le starlight rooms nell’area veneta delle Dolomiti è stato Raniero Campigotto, storico gestore del Rifugio Col Gallina, che ad oltre 2000 metri di quota ha installato sperimentalmente due di queste strutture, una nel 2017 e l’altra l’anno successivo. «Si tratta di stanze, di sobria eleganza, ecosostenibile al 100%. Sono fissate a terra, ma di fatto removibili. Gli scarichi non sono a terra, ma interni alla struttura. Per l’elettricità vengono utilizzati pannelli solari. Il riscaldamento è a pellet. Nel mio caso le strutture erano collocate sulla sommità delle piste da sci, in posti già antropizzati. Inoltre si inseriscono bene nell’ambiente circostante con materiali consoni. Per i disabili o le persone che hanno necessità di essere trasportate utilizziamo mezzi elettrici».
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Il Cai: le Dolomiti non sono Disneyland
Sarebbero 172 le “stanze panoramiche” che potrebbero entrare in attività sulle montagne venete. Ed il mondo dell’alpinismo e dell’ambientalismo è per lo meno perplesso, se non contrario. «Comprendiamo le ragioni del turismo esperienziale o emozionale – afferma Renato Frigo, presidente regionale del Cai -, ma non riteniamo che sia questa la scelta più saggia di praticarlo. Intravvediamo il rischio che tutto diventi un parco divertimenti, e la montagna non può essere Disneyland. La montagna è fatta di sensazioni fisiche. Vanno percepiti il caldo ed il freddo, il vento, la pioggia, la neve. Vanno annusati i profumi. L'aria fresca è tutta da vivere. Insomma bisogna cercare di mantenere quel rapporto stretto con l'ambiente naturale».
E poi, secondo Frigo, si rischia di banalizzare il tema della sicurezza. «Non possiamo nasconderci il pericolo di incentivare i turisti anche meno attrezzati, banalizzando la salita in montagna in inverno, cosa che invece non è semplice e bisogna prestare molta attenzione. Noi dobbiamo insegnare alle persone a rispettare la montagna, dove i pericoli si percepiscono meno, evitando che venga snaturata».
Dibattito tra amministratori e politici
Perplessi anche alcuni sindaci dell’area Dolomitica che parlano di schiaffo a chi vive la montagna tutto l’anno. Ma c’è anche chi, come Silvia Calligaro, sindaco di Vigo di Cadore e segretaria provinciale di FdI, riconosce le opportunità che quel tipo di investimento turistico può portare.
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Andrea Zanoni, consigliere regionale del Pd, ha avviato una raccolta di firme. «La montagna è un luogo dove chi la frequenta desidera passarvi qualche ora in santa pace, silenzio, a contatto con la natura. Invece rischiamo scoprire nuovi cantieri con costruzioni vetrate che saranno un pugno sullo stomaco solo a vederle, col rumore dei gruppi elettrogeni al posto del canto degli uccelli, con bagliore di questi edifici al posto di un cielo stellato, con i rumorosi fuoristrada dei cacciatori che ti sorpassano in stretti percorsi di montagna invece di poter scorgere qualche animale in santa pace».