Morì sotto la frana, partito il processo bis: il Ministero chiede di escludere la famiglia Catturani
Frana di Alverà: è partito il processo bis. Sei anni e mezzo dopo la morte di Carla Catturani, da ieri sono in tribunale l’ex sindaco ampezzano Gianpietro Ghedina, il suo vice Luigi Alverà e la dirigente di Veneto Strade, Lara Stefani. La Procura generale di Venezia li accusa di omicidio stradale, in cooperazione colposa ognuno per le proprie competenze per colpa specifica di inosservanza di leggi e regolamenti (in particolare l’articolo 13 del decreto legislativo 285 del 1992 sulle norme per la sicurezza e gestione delle strade). Il procuratore generale sottolinea nel suo atto d’accusa la prevedibilità dell’evento del 4 agosto 2017 «nella reciproca consapevolezza della necessità di interventi e della mancata attuazione degli stessi».
Quattro familiari dell’anestesista del Codivilla Putti si sono costituiti parte civile per avere un risarcimento danni, che è stato quantificato in 550 mila euro: Vittoria, Walter e Rocco Catturani e Anna Maria Lorenzi. Ma l’Avvocatura dello Stato, che rappresenta la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ministero dell’Interno ha chiesto al giudice Paolo Velo l’esclusione non solo delle parti civili, ma anche dei responsabili civili Comune di Cortina e Veneto Strade. Quelli che gli eventuali danni dovranno pagarli. Velo si è riservato la decisione fino al 20 giugno, nel frattempo le difese potranno depositare delle brevi memorie entro il 30 aprile. Al di là di questo importante aspetto tecnico, il dibattimento si svilupperà in tre udienze, ammesso che bastino: 3 e 28 ottobre e 25 novembre.
Gli imputati non erano presenti. A Ghedina e Alverà si imputa di non aver deliberato e progettato, predisposto e installato una adeguata illuminazione stradale «sia per il transito ordinario che per le situazioni prevedibili perché storicamente ricorrenti di eventi franosi». La posizione di Stefani viene indicata «in concorso con Sandro D’Agostini», già assolto con formula piena in primo grado. Le si imputa di non aver predisposto degli idonei presidi di allarme e teleallarme e sulla strada regionale 48, inclusa nell’area a rischio idrogeologico 4, cioè molto elevato. Sarebbero mancati, in sostanza, sirene fari o luci che potessero avvisare gli utenti del pericolo e arrestarli in tempo o almeno una decina di metri prima e dopo rispetto all’attraversamento del tombotto a valle dell’imponente distacco franoso.
Quella sera, alle 23.30, Catturani stava tornando a casa da una festa campestre e fu travolta da una colata di fango e detriti scesa dal monte Cristallo, che fece esondare il rio Bigontina e investì la sua auto, sulla 48, all’altezza di Alverà. Nella prima inchiesta, la Procura di Belluno aveva indagato anche il predecessore di Ghedina, Andrea Franceschi, l’ex assessore Stefano Verocai e l’allora responsabile dell’Ufficio Lavori pubblici, Stefano Zardini Lacedelli, ma per loro il pm Roberta Gallego aveva chiesto l’archiviazione. Si riparte con l’istruttoria.