Feltre, l’ospedale psichiatrico rivive nelle memorie dell’ex barista
Giovanni Trimeri presenta il suo libro alle 17 di oggi, domenica 10 marzo, al Campus Tina Merlin. «Lavorai tre anni a Borgo Ruga. Racconto le storie dei pazienti e ciò che vedevo»
“Voci del verbo cancellare” da salvare dall’oblio. Rivive la storia dell’ex ospedale psichiatrico di Feltre, nel nuovo libro di Giovanni Trimeri. Un’operazione che recupera e riordina esperienze vissute in prima persona, udite da ospiti e operatori, aneddoti e testimonianze. Un viaggio che oggi, domenica 10 marzo, alle 17 presenterà al Campus Tina Merlin di Palazzina Bonsembiante, in quella via Borgo Ruga dove ancora oggi ci sono le mura e i residui dell’ex manicomio.
Com’è nata l’idea di “Voci del verbo cancellare”?
«Ho scritto questo libro in oltre 40 anni, da quando ho cominciato a lavorare all’ospedale psichiatrico di Feltre, dopo il servizio militare, nel dicembre 1974. Il mio vicino di casa che gestiva il bar aveva bisogno di un giovane che desse una mano per 15 giorni. Sono rimasto lì quasi tre anni, fino alla tarda primavera del 1977. In quel periodo stava andando avanti il processo che avrebbe portato nel 1978 alla legge 180 ispirata da Franco Basaglia. Ho iniziato a prender nota di quel che mi raccontavano i pazienti, di ciò che vedevo. E negli anni ho scritto anche monologhi e poesie dedicati agli ospiti, perché la loro condizione mi faceva star male: uscivo che balbettavo e strizzavo gli occhi come loro, me li sognavo di notte. Un infermiere mi regalò una copia già di terza mano del “Manuale per gli infermieri di ospedale psichiatrico”: un libro di Umberto De Giacomo pubblicato nel 1959, rivisto nel 1962, e nel 1974 e ancora in uso. Lessi questo, e poi molto altro materiale che usciva in quegli anni, a partire da “Comunità”, la voce del comprensorio feltrino».
Tutto questo com’è poi stato messo insieme?
«Dal 1974 raccolgo diverse notizie che, ricopiandole o fotocopiandole, nel corso del tempo ho sommato. Mettevo via fonti con l’idea che un giorno avrei scritto questa storia. Una volta in pensione, ho riordinato il tutto, aggiornandolo con dati recenti, anche alla luce delle nuove emergenze psichiatriche. Era il momento di parlare di questo tema: dove sono, in Italia, le norme e le risorse che sostengono le famiglie che hanno in carico persone con queste patologie? Ecco il perché di questo viaggio, di questo libro strutturato come una passeggiata».
Ecco, entriamo nel merito della narrazione.
«Rientro una domenica nell’ex ospedale psichiatrico. Tratto, ad esempio, delle varie divisioni, dei platani dove venivano legati i pazienti più agitati, della cella mortuaria, dei campi da bocce, calcio e tennis, della chiesa di Ognissanti. Del personale e degli ospiti che ho conosciuto, e racconto le loro storie. Vicende drammatiche, ma anche momenti di alleggerimento: aneddoti per sorridere, riguardo a situazioni accadute ai pazienti, ma anche a me. Uso anche la fantasia, ma per rafforzare la realtà e i ricordi. Un viaggio di circa un secolo che intreccia la storia degli uomini e quella delle carte: le due guerre mondiali, il boom economico, la nuova psichiatria. Fino a quando finalmente, nel 1996, l’ospedale venne chiuso, anche grazie al competente lavoro della psichiatra e parlamentare Vanda Milano».
Anche il titolo è curioso.
«“Voci del verbo cancellare” perché le voci che ho raccolto sono di fatto cancellate, così come quelle di chi oggi chiede adeguate risposte alle istanze psichiatriche. Lo stesso cancello da cui entro è una voce del verbo cancellare: rimane sempre aperto, ma quel che c’è dentro è inaccessibile. Anche sul piano concreto, perché gli archivi non si possono consultare».
Suggestiva pure la scelta di presentare il libro in via Borgo Ruga.
«Una scelta voluta. Tanti non sono mai entrati nell’ex ospedale psichiatrico. In quei locali, inoltre, mi sembrava pregnante allestire una piccola mostra di materiali e fonti: camicie di forza, un apparecchio per l’elettroshock, chiavi per aprire le porte, libri e volantini, foto dei pazienti. E una sezione che mette in parallelo psichiatria nazionale e locale, i “testi sacri” della rivoluzione basagliana e le opere di Gino Meneghel, storico primario dell’ospedale psichiatrico di Feltre. E, a cura di Tutti in campo, un’esposizione di disegni e pitture realizzati dai frequentanti i laboratori d’arte dell’associazione. Così da creare emozione e far sì che tutto ciò non venga cancellato: non sarebbe corretto nei confronti di chi nel passato è vissuto e morto lì dentro e di chi oggi soffre».