Il medico dei bimbi nella Striscia di Gaza: «Cure e serenità a chi sta soffrendo»
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foto da Quotidiani locali
Missione umanitaria in Palestina. Giangiacomo Nicolini, pediatra dell’Ospedale di Belluno e consigliere comunale, ha vestito i panni del volontario, partecipando a una missione a Gaza promossa dal Ministero della Difesa e dalla Marina Militare, con il supporto della Fondazione Francesca Rava.
Il progetto nella Striscia di Gaza è stato avviato mesi fa, con l’allestimento di un ospedale “da campo” sul Vulcano – nave militare dotata di sale operatorie, laboratorio di analisi, farmacia, terapia intensiva e sub intensiva, unità diagnostica, radiologia e telemedicina – ormeggiato a 20 chilometri da Rafah. Obiettivo: accogliere e prestare assistenza sanitaria ai bambini coinvolti, loro malgrado, nel conflitto tra israeliani e palestinesi.
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Uno dei medici parte attiva del progetto è stato proprio Nicolini: non nuovo a missioni del genere, si è imbarcato sulla Vulcano nella consapevolezza che «anche un piccolo gesto di aiuto può alimentare la speranza in chi ha subìto ferite profonde, fisiche e non, a causa della guerra».
«A bordo», spiega Nicolini, «la giornata dell’équipe trascorreva tra gli impegni di cura ai piccoli pazienti, spesso vittime di esplosioni o di crolli di case, e momenti di gioco e di svago con i quali – pennarelli e palloncini alla mano, spirito di dono nel cuore – si cercava di sgretolare il muro di diffidenza e di terrore che vedevamo scolpito negli occhi dei bambini. Dopo un primo momento di timore alla vista delle divise militari, riuscivamo sempre a conquistare la fiducia dei piccoli, facendoli sentire accolti e accuditi, proprio come avviene in famiglia».
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«Su queste missioni», prosegue Nicolini, «non è necessario esprimere giudizi di merito, non ci si schiera, non ci sono buoni o cattivi: l’unico vero obiettivo di tali interventi è quello di accogliere e portare cure, speranze e barlumi di normalità a chi è in difficoltà. Semplici gesti umani, all’interno di un percorso di cura, fanno la differenza».
Tante le emozioni del medico: «C’era un misto di rabbia e di impotenza nel rendersi conto delle ferite inferte dalla guerra a vittime innocenti, ma anche la soddisfazione nel momento in cui riuscivamo a creare un legame profondo col piccolo paziente, che va al di là della sola cura clinica».
Tante le difficoltà per il personale a bordo. Durante la permanenza, Nicolini è riuscito a mettersi in contatto con i propri cari solo attraverso sporadici messaggi trasmessi dal ponte della nave, unico luogo in cui era presente una discreta connessione. «Occorre avere grande spirito di adattamento e capacità di improvvisazione, senza prescindere dalla preparazione tecnica a 360 gradi, per affrontare simili situazioni. Si lavora all’interno di un team affiatato, si instaurano amicizie con colleghi, infermieri, militari, che vanno ben oltre la missione: ancora oggi sono assidui i contatti con chi ha preso in carico i piccoli, per conoscerne gli aggiornamenti di salute e di vita».
Ha un desiderio, Nicolini: «Mi piacerebbe realizzare un progetto attraverso il quale dare nuove opportunità ai bambini in difficoltà e alle loro famiglie, per conferire contenuto ai valori di accoglienza e solidarietà che ho portato con me, ancora più forti e saldi, allo sbarco dal Vulcano».