Operazione Sisma a Mantova: «Facendo tanti imbrogli ho messo da parte belle cose e 150mila euro»
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belle cose e 150mila euro»](https://www.gedistatic.it/content/gnn/img/gazzettadimantova/2023/01/11/075436322-207c6d42-ee80-4a6d-b384-d48d77754564.jpg)
L’architetto, nelle intercettazioni, si vantava con il padre e con un’amica: «A Cutro mi vedono come eroe per via di mio nonno»
«Facendo tanti imbrogli ho fatto la vita, ho speso, ma ho messo delle belle cose da parte, ho messo 150mila euro da parte». Lo raccontano le intercettazioni: ricco, astuto, e forte del nome del nonno materno, il boss massacrato a colpi di bazooka durante la faida tra crotonesi.
Parlando con gli imprenditori, l’architetto Giuseppe Todaro spiega che «io come ditta non posso lavorare nel sisma perché mio nonno era mafioso». E ancora: «Io da sei anni son il Rup di Poggio Rusco, Villa Poma, Magnacavallo e Sermide. Io sono chi realizza la pratica, chi realizza le ditte e chi fa l'ordinanza di concessione. Se ne prendi sessanta, settanta, grazie a un mio agire sei contento o no?». Chiaro e sicuro di sé. Gherlinzoni, il geometra che non ha ceduto alle pressioni, è definito «quel merda che ha rotto le scatole, quel deficiente lì». Con altri si accorda: Di Fraia per lavori a Poggio Rusco, D’Errico e Formigoni per interventi a Revere, Monica Bianchini, l’architetta che segue i lavori, a cui non bisogna far scoprire la vera natura dell’impresa Bondeno «ma tanto non capisce niente e lo sa anche lei».
A un'amica dice «Io sono il capo, sai che nella vita devo fare il capo. Io o il capo o niente, sono preparato e sono bello. Ho avuto un maestro anche mio padre, che abbiamo fatto un bed and breakfast a Cuba che lo gestisce lui adesso, che abbiamo preso dei bei gran bei lavori noi, da cinque anni che non siamo stati fermi un giorno». Il boss è morto da un pezzo, ma la consorteria criminale, secondo il Gip, è più attiva che mai, anche grazie alla complicità di alcuni bancari della zona. Giuseppe Todaro, scrive il giudice, in linea con la fama mafiosa di cui gode e forte dell’autorevolezza acquisita, si impegna perfino a risolvere le controversie tra le imprese calabresi che si sono insediate nel territorio, promuovendo anche la formazione «di accordi di cartello elusivi dei controlli. Tronfio, Giuseppe si vanta con il padre: «hanno abbassato le orecchie, prendetevi sto bell’insegnamento».
E ancora: «Con me fanno ben poco. Sanno bene che sono pericoloso». A Cutro «mi vedono come un eroe, tutto per la storia di mio nonno». I taglieggiamenti, spiega a un’amica «servono per noi, per la famiglia, per i carcerati, per mantenerci».
I Todaro non hanno remore a minacciare Mauro Lenzini, l’impresario che doveva ristrutturare Villa Angela a Villa Poma, facendo “un cenno” al figlio piccolo. Lui cede al ricatto, soprattutto dopo una semplice ricerca su Google in cui scopre le sue parentele più che pericolose. Una ricerca che nessun amministratore pubblico, evidentemente, è stato in grado di fare.