La passione di Vittorio Emanuele per le ricciole di Quistello
foto da Quotidiani locali
Fine estate 2006, Quistello. I fratelli Romano e Francesco Tamani, felicemente regnanti sul ristorante Ambasciata, attovagliarono Vittorio Emanuele di Savoia, defunto in Ginevra il 3 febbraio. Cioè imbandirono un desinare magno, ma austriacante per via delle portate mantovan-ottocentesche. Con il figlio dell’ultimo re e pretendente al trono d’Italia c’era la moglie Marina Ricolfi Doria e una piccola corte di spasimanti savoiardi e amici che avevano risposto all’accorruomo lanciato dai Tamani.
Riservato ma non troppo
Il pranzo quistellese di squisita riservatezza per i protocolli della Real Casa doveva restare appunto riguardoso. Ma siccome nell’Italia repubblicana strutture monarchiche e titoli nobiliari andarono a farsi friggere dal 2 giugno 1946, l’appuntamento non fu discreto. Ma esultante. Non perché il già duca di Savoia Carignano dal 15 marzo 2003 non era più soggetto all’esilio dettato dall’abrogata tredicesima disposizione transitoria della Costituzione. C’era altro. Vittorio Emanuele era appena uscito dalla vicenda giudiziaria – una delle diverse – che lo aveva coinvolto a Napoli in un’inchiesta sul gioco d’azzardo. Assolto con formula piena, doveva festeggiare durante il viaggio di ritorno, verso Ginevra, Genève, antica capitale del ducato des Savoie.
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La scelta non cadde, ma più precisamente s’elevò, sull’Ambasciata di Quistello perché i contatti fra il fu principe e i Tamani erano di lungo corso: ogni anno loro spedivano nel buen retiro elvetico pasta all’uovo fatta in casa e salami dei nostri violando impunemente la regola che la cibaria regale non ha da contenere aglio. Molti i biglietti stemmati esposti nel ristorante recanti ringraziamenti e apprezzamenti di SAR (Sua Altezza Reale, sigla che appartiene al passato favolistico come SMIR, Sua Maestà Imperial Regia). Tali esuberanze blasonate non vedevano l’ora di incrociare il mondo di SER, cioè Sua Eminenza Reverendissima lo chef Romano inventore d’un locale eclettico principesco, anzi ecclesiastico barocco cardinalizio.
Mancava soltanto la Marcia Reale: “Viva il Re! Viva il Re! Viva il Re! Le trombe liete squillano… ”. La presenza di Vittorio Emanuele in double boutonnage, doppiopetto, e di Marina Doria in tailleur bleu ebbe immediato rimbalzo telefonico dialettale cifrato alla Gazzetta: “A gh’è al re, gnì a Quistel, sübìt” (traduzione: c’è il re (?), venite a Quistello, subito).
Nella gran sala
Nella gran sala desinavano anche Lele Mora con la sua famiglia, amici e fan della corona sabauda, autorità locali. Il menu sbaragliò l’etichetta: salumi del territorio, cappelletti in brodo, tortelli di zucca, cotechini, capponi bolliti, salsa verde, mostarda. Ullallà. Generale soddisfazione, brio, confidenza dei partecipanti, dei patron, e della coppia sabauda. Era proprio in quelle circostanze che all’Ambasciata capitava l’imponderabile, filmico, surreale felliniano. Come quando in un dopocena in fila e diretti al cimitero di Nuvolato per ammirare le sculture di Giuseppe Gorni furono sorpresi, con torcia elettrica, lo chef in paramento bianco, i camerieri in nero, la moglie d’un artista giapponese in kimono rosa e Vittorio Sgarbi muniti di scala per lo scavalcamento della muraglia.
In uscita dal ristorante e salito sul sedile posteriore d’un macchinone con autista (la moglie Marina viaggiava su una vettura identica) il pretendente al trono d’Italia fu fermato quasi in corsa verso il ponte sulla Secchia da un grembiulato Romano Tamani. Il cuoco accomodò accanto a Vittorio Emanuele un abnorme sacco di pane della Bassa bauli, chìfar e riccioline – “siòr principe, vist ch’ag piàs…”, signor principe, visto che le piace… Il destinatario gradì molto.
Altre due le circostanze nelle quali il già duca di Savoia fu qui: nel 2005 ospite d’onore al Parco Giardino Sigurtà a Valeggio sul Mincio per una rievocazione della prima guerra mondiale, accolto dal proprietario, il conte castiglionese Giuseppe; per la partecipazione al Gran Premio Nuvolari, dunque con passerella a Mantova, edizione 2004. Reali miti, capponi, pane e motori.