Genitori a scuola sì o no? «Lasciateci fare da soli ma siateci quando serve»

In un articolo Umberto Galimberti propone di eliminare la presenza spesso oppressiva dei genitori nelle questioni scolastiche dei figli. Essi si pongono spesso come intermediari tra gli alunni e i professori, non lasciando alcuna autonomia ai propri figli. Secondo Galimberti, ciò è un grande ostacolo nel percorso di maturazione del ragazzo, che andrebbe invece abituato, sin dall’inizio delle scuole medie o al massimo superiori, a risolvere i propri problemi. Da un lato condivido questa idea: da sempre ho cercato di affrontare il mio percorso scolastico senza l’aiuto né di mio padre né di mia madre, anche perché fortunatamente non ne ho mai avuto bisogno.

Tuttavia penso che per i ragazzi che non riescono da soli ad affrontare una situazione scolastica difficile, che può essere un problema in una data materia, o con un certo professore, sia giusto l’intervento di un genitore. Ci sono professori con cui dialogare è davvero difficile: gli insegnanti in molti casi, discutendo con gli alunni, credono di aver ragione a priori, e non sono molto aperti al dialogo. Dunque, escludere completamente i genitori dalla scuola può giovare nella maturazione di alcuni, ma può portare anche a sentirsi abbandonati nel momento del bisogno.

Galimberti suggerisce anche che la presenza in classe di ragazzi di condizione sociale differente possa aiutare a far capire a molti di noi che nessuno è migliore di qualcun altro per quanti soldi possiede la propria famiglia o per la provenienza. La prima differenza si è superata da un pezzo, secondo la mia esperienza. La diversità di provenienze, invece, è ancora un problema sia tra ragazzi che tra adulti e spesso è conseguenza di un insegnamento ricevuto. È quindi più che giusta la formazione di classi composte da alunni di differente provenienza, poiché solo insegnando fin da subito che non vi è alcuna vera “diversità”, potremmo finalmente superare queste barriere.Leo Pescali

Liceo Copernico, Pavia