Rapimento Eitan, il banco vuoto alle Canossiane e lo sgomento di parenti e amici
C’è un solo banco nel cortile della scuola. «È quello di Eitan. Purtroppo non poteva ancora correre con i suoi compagni durante la ricreazione, ma voleva stare fuori a disegnare con i pennarelli. La cugina era sempre al suo fianco e tutti giocavano intorno a lui. Era felice di tornare a scuola. Durante la settimana preparatoria al nuovo anno scolastico, avevamo deciso di fare così».
Al primo giorno di lezione all’istituto Santa Maria di Canossa di Pavia quel banco è vuoto. Eitan è stato rapito dal nonno, portato in Israele e strappato alla sua vita. Gli studenti giocano a inseguirsi, ogni tanto qualcuno viene a toccare il posto del compagno assente.
Madre Paola Canziani è molto triste: «Ho letto che il nonno di religione ebraica non apprezzava questa scuola perché cattolica, gestita da noi suore. Ma questa è una scuola aperta, qui ci sono tutte le religioni del mondo.
Eitan ha moltissimi amici, undici compagni dell’anno scorso sono nella sua nuova classe. Doveva incominciare la prima elementare, dopo l’anno alla scuola materna».
È una giornata luminosa, tutte le strade di Pavia sono piene di studenti. I genitori si fanno misurare la febbre all’ingresso, e poi entrano a prendere i figli in cortile. Anche il comandate provinciale della Guardia di Finanza Luigi Macchia è qui in quanto padre. «Mi dispiace moltissimo per quel bambino. La sua assenza è molto dolorosa per tutti noi. Dopo la tragedia della funivia del Mottarone, questo è un altro trauma. Quello che mi sento di dire è che questa scuola è davvero un modello di integrazione fra diverse culture, l’unica strada che abbiamo».
Le cugine di Eitan tornano a casa a metà pomeriggio. I genitori Aya Biran e Or Nirko hanno deciso di dire a loro tutta la verità.
«Continuavano a domandare di Eitan. Quando torna? Quando torna? Avrebbero saputo dai compagni o dalla televisione, quindi abbiamo detto che Eitan è stato rapito dalla famiglia materna. Non sappiamo quando lo rivedremo».
Prima della tragedia del Mottarone le differenze fra i due rami famigliari non erano mai state motivo di litigio. Anche la scelta di vivere qui e quella di iscrivere Eitan alla scuola delle suore Canossine erano state condivise.
La prima ad arrivare da Israele a Pavia è stata Aya Biran. Studiava Medicina, era il 2004. L’anno successivo è arrivato quello che sarebbe diventato suo marito, il signor Or Nirko: «Siamo entrambi di Tel Aviv, ma ci siamo conosciuti qui. Era estate, non c’era nessuno: Aya è stata la prima persona che ho incontrato nella mia vita italiana».
Lei è psicologa per le tossicodipendenze al carcere di Pavia, lui è un corriere medico. Prima casa pavese a Borgo Ticino.
Ecco il racconto dello zio: «Quando i genitori di Eitan hanno deciso di trasferirsi in Italia, siamo stati noi a cercargli una casa vicino alla nostra. Passavano molto tempo con Amit e Tal, i nostri figli sono stati allattati vicini, il legame era profondo. Sono stati i genitori di Eitan a scegliere per lui la scuola delle suore Canossine, semplicemente perché è una scuola di eccellenza. Al punto che abbiamo deciso di seguirli in questa loro decisione. Eravamo una famiglia unita anche con i parenti Peleg».
La tragedia del Mottarone ha mandato in frantumi ogni equilibrio. I Peleg sono di destra e ultra ortodossi.
«Sono voluti entrare nella casa dei genitoridi Eitan a tutti i costi. Hanno buttato via tutto il cibo che non era kosher, sono andati a comprare quello kosher per riempire la dispensa. Sono mesi che ci fanno la guerra per portare via Eitan. Mesi che si inventano odi e divisioni, che ci dipingono come i cattivi. Noi temevamo quello che poi è successo».
Il giardino della villetta ha una scritta in ebraico nella frazione di Travacò Siccomario. La nuova camera di Eitan è al piano terra.
«Eitan sa tutto, purtroppo ricorda tutto», dice lo zio Or Nirko.
«Ha nella testa ogni istante del giorno dell’incidente, in certi momenti ne vuole parlare e altre volte si chiude. Ha chiesto di poter mettere le foto dei suoi genitori e di suo fratellino Tom sopra al letto. Siamo molto preoccupati per lui. Useremo tutti i mezzi legali per riportare a casa Eitan. Ma non sarà facile: Israele è uno Stato molto nazionalista».
Si avvicinano le telecamere per una diretta del pomeriggio. Chiedono allo zio di fare un appello, rivolgendosi direttamente al bambino: «Ti vogliamo bene, Eitan. Ci manchi tantissimo».
Poi si spengono le luci. È la terza sera dopo il rapimento.
«Ogni volta che ci separavamo anche solo per qualche minuto gli lasciavamo un oggetto, come gli occhiali o qualcosa che lo confortasse del nostro ritorno. Eitan è molto sofferente. Temiamo per lui. L’appello più importante vogliamo rivolgerlo al ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio: deve aiutarci. Non possiamo aspettare i tempi della giustizia, sono troppo lunghi per un bambino di 6 anni già così provato. Noi speriamo che si possa aprire un canale diplomatico».
Sabato mattina Eitan Biran è uscito di casa con i pantaloncini corti, con il girello e con la sedia a rotelle. Il nonno Shmuel Peleg gli aveva promesso che sarebbero andati a comprare dei giocattoli: era una menzogna. Adesso il suo banco è vuoto, vuota è la stanza. Restano il computer nuovo e i quaderni sulla scrivania, le foto della sua famiglia attaccate sopra al letto. E ancora, nonostante le spiegazioni, si sente la voce di una bambina che domanda: «Quando torna Eitan?». —