Traffico di droga dentro il carcere, fra gli indagati c’è un’avvocata udinese

UDINE. Gestiva un traffico di stupefacenti da rivendere tra le mura della casa di reclusione Due Palazzi di Padova nonostante stia tuttora scontando una condanna all’ergastolo (ormai definitiva) per un duplice omicidio.

Non da solo: con lui collaboravano altri detenuti nel tenere in piedi quella rete mentre la merce superava qualsiasi sbarramento grazie a un “corriere” del tutto insospettabile, il suo difensore di fiducia che è pure la compagna di un collega detenuto.

Una rete possibile grazie alla libertà di comunicare con il mondo esterno tramite computer (e l’impiego di alcune piattaforme come skype e messenger) e chiavette usb nascoste dietro i battiscopa e nelle mura delle celle.

Il pm padovano Benedetto Roberti ha chiuso formalmente l’indagine. E ora rischiano il processo gli otto indagati (tutti, tranne uno, trasferiti in altri penitenziari italiani) a partire dal boss, il veneziano Alex Gianduzzo, 46enne di San Donà, condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di due cugini albanesi avvenuto la sera del 21 ottobre 2003, a Ceggia, nell’ambito della cessione di una partita di 100 chili di cocaina.

Oltre a lui, nei guai il “collega” udinese Francesco Venturi, condannato a più di dieci anni per spaccio di cocaina e l’avvocata del foro di Udine Susan Di Biagio (difensore di entrambi e compagna di Venturi) che aveva l’incarico di acquistare lo stupefacente custodito nell’appartamento del figlio di Alex, Thomas Gianduzzo, a San Donà in via Fossà.

Dentro e fuori il Due Palazzi era lei che si muoveva senza ostacoli imbottita di droga: grazie al suo ruolo, dribblava qualsiasi controllo anche nella saletta riservata ai colloqui con i propri clienti.

Così il 12 novembre 2022 la legale – stando sempre all’accusa – avrebbe introdotto nel “grattacielo” riservato ai condannati in via definitiva circa 500 grammi di hashish, pari a 6054 dosi medie.

Hashish che era stato conservato nella casa di Thomas Gianduzzo, arrestato proprio quel giorno. Altri panetti da mezzo chilo sarebbero stati introdotti ancora dalla professionista in almeno 4 o 5 occasioni nello stesso anno.

L’indagine padovana è stata avviata nel 2022 ma si è arricchita, via via, dei contributi provenienti dalla Direzione distrettuale antimafia di Venezia e dalla procura di Treviso impegnati a indagare su altri filoni legati al traffico di stupefacenti; ulteriori elementi sono stati trasmessi dalla Dda di Trieste che aveva svolto intercettazioni ambientale nella cella di Gianduzzo.

Sorpresa: il recluso, usando il cellulare, la piattaforma skype del pc o l’app messenger, chattava tranquillamente – nell’account intestato a una tale Michaela Sanchez – con la moglie in Sudamerica, con il fratello Fabio all’epoca agli arresti domiciliari e con detenuti nel frattempo scarcerati.

L’obiettivo? Organizzare il trasferimento di soldi in Ecuador a favore della consorte e di altri intermediari per comprare cocaina e importarla in Italia impiegando corrieri albanesi.

Il 12 novembre 2022 la cella di Alex Gianduzzo è perquisita a colpi di scalpello. Vengono trovati un pc, una chiavetta usb, un adattatore, una pen-drive con auricolare e microfono.

Lo stesso giorno è perquisita l’avvocatessa e arrestata (misura che per un vizio formale non sarà convalidata) e Thomas Gianduzzo. È a casa di quest’ultimo che si scopre un panetto da 500 grammi di hashish. Messo alle strette, il giovane racconta tutto: la droga avrebbe dovuto essere presa in carico dall’avvocata per essere “recapitata” in carcere il giorno del colloquio.

Le analisi su pc e cellulare di Di Biagio confermano i contatti con Gianduzzo senior e il fidanzato Venturi. Di più: dall’analisi delle videocamere nel secondo blocco del Due Palazzi, Alex Gianduzzo è notato mentre entra nella vicina cella occupata da Abderrahman Kendila.

L’indomani, il 18 novembre, scatta una perquisizione a colpi di scalpello. E lì sono sequestrati un cellulare, 13 pen drive e un pc con software per eludere i controlli.