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Tutti i debiti che Lapo Elkann non pagherà

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L’erede dell’impero Agnelli (ricchezza personale stimabile in una decina di miliardi di euro) è reduce dalla ingloriosa chiusura della sua iniziativa imprenditoriale, la Italia Independent. Eppure gli sono state abbonate le rilevantissime perdite per decine di milioni. Strano, ma vero.

Finalmente un po’ di trasparenza in quest’epoca di vaghezza, sospetti e cattivi pensieri sui destini e sui destinatari della beneficenza, anzi della «charity» come dicono le Chiare Ferragni del settore. C’è una storia che lascia stupefatti poiché una elargizione così generosa a una persona non si era mai registrata, o forse - meglio - non era mai stata resa nota. Egli, infatti, è riuscito in una impresa titanica: ottenere dalle banche cui da anni deve molti soldi nientemeno che l’azzeramento dei suoi milioni di debiti verso di loro. Il beneficiario di questo «condono», tra l’altro, è privo dei requisiti richiesti in simili occasioni: ha un reddito al limite di quello di cittadinanza, non ha parenti ricchi e potenti, è notoriamente povero in canna, come tutti sanno conduce una grama esistenza senza lussi né ostentazione, vive in una piccola casa di ringhiera, conta su uno scarno guardaroba, si accontenta di poco, ha un grande bisogno di essere aiutato, in tutti i sensi, Ma, soprattutto, si chiama Lapo Elkann. Ai creditori non importa se il «poverino» dispone di almeno una decina di miliardi di euro di patrimonio, il 20 per cento della cassaforte degli Agnelli, la Dicembre, e ha appena ereditato dalla nonna Marella - insieme al fratello John e alla sorella Ginevra - almeno 1,6 miliardi, oltre a uno chalet («Chesa Mezdì») a St. Moritz, ad alcune opere d’arte di grande valore e, soprattutto, a una parte dei lingotti d’oro («il tesoro dell’Avvocato») custodito in un forziere di Ginevra.

Il rampollo tuttavia, non poteva permettersi un altro «lusso»: la definizione ufficiale di «fallito», nel senso di protagonista del fallimento della sua società Italia Independent, che in futuro gli avrebbe precluso di amministrare qualche azienda (magari quelle del fratello), entrare in qualche board come quello di Juventus o Ferrari, accedere al credito bancario. Insomma, non si poteva consentire che il nipote di Agnelli finisse nel «Bollettino dei protesti» e non avesse accesso nemmeno a fidi bancari. Ecco allora che Qualcuno interviene dall’alto e convince quell’ipotetico e potente consesso formato da sei istituti di credito a cancellare i debiti di Lapo. Per questo «imprenditore» dai pessimi risultati le banche, contrariamente al solito hanno dimostrato tanta «misericordia». Chi le ha convinte? Per caso, ha chiamato il Fratello da Torino o Amsterdam? Oppure è intervenuto Qualcuno dalla Santa Sede visto che il secondo azionista della società di Lapo era proprio il Vaticano attraverso il fondo Centurion?

Nella vicenda di Italia Independent, sede a Venaria Reale, la società di occhiali e varia fuffa firmata «Lapo» (compresa la produzione e il commercio di vodka), società da lui creata nel 2008 e portata a una ignominiosa chiusura, il rampollo quarantaseienne ha dimostrato che aveva ragione Sergio Marchionne quando preconizzava: «È molto creativo e talvolta ha qualche buona idea. Ma occorre fare attenzione poiché è privo delle più elementari capacità finanziarie». E, infatti, riuscì a farlo fuori dai suoi ruoli in Fiat subito dopo la «notte brava» e l’overdose da cui fu salvato grazie a Donato Brocco (in arte «Patrizia») che sta ancora aspettando, come segno di ringraziamento, «almeno una Duna», come disse in una intervista. Marchionne qualche anno dopo pretese l’uscita di Lapo dal cda Ferrari (lo aveva imposto John per impedire che quel posto finisse ad Andrea Agnelli) dopo la vicenda del celebre auto-rapimento di Lapo a New York.

Quando Italia Independent venne quotata in Borsa il titolo valeva 26 euro (vennero raccolti 15,7 milioni) e arrivò a toccare i 40. Ora vale un centesimo. Nella sua catastrofica attività imprenditoriale durata tre lustri, Lapo ha dovuto scucire personalmente circa 40 milioni di euro solo negli ultimi anni, senza riuscire a evitare la chiusura (il marchio è stato ceduto per un milione al Gruppo Modo di Alessandro Lanaro, ex giocatore della nazionale di curling). Il secondogenito degli Elkann, che ha licenziato 29 dipendenti, ha supportato le società del gruppo con oltre 25 milioni fra il 2016 e il 2022 (a titolo di aumenti di capitale o prestiti cui ha dovuto rinunciare) oltre ai 12,8 milioni versati nel giugno 2023 a titolo di prestito per non fare fallire nessuna delle sue società. È stato necessario trovare un accordo con i creditori che hanno rinunciato in media al 90 per cento delle loro spettanze. Anche Cristiano Ronaldo, ex testimonial di Italia Independent con un minimo garantito di royalties pari a 3,5 milioni l’anno per quattro anni, ha accettato, in cambio degli arretrati, di rinunciare all’ultima tranche prevista accontentandosi per il 2024 di avere soli 700 mila euro.

Che sia riuscito ad avere questi soldi ha mandato in bestia gli altri creditori (23 della capogruppo e 71 della società operativa) che hanno dovuto rinunciare a quasi tutto quello che vantavano: amministratori delle due società di Lapo, consulenti, commercialisti, legali, licenziatari dei marchi, Borsa italiana spa, Monte titoli spa, il revisore dei conti Deloitte & Touche (che ha perso 198 mila euro), rivenditori e fornitori di occhiali in Italia, in Cina e in Giappone, società di vigilanza delle sedi, agenzie di raccolta pubblicitaria. Un lungo elenco che in tutto ha dovuto rinunciare a 7,2 milioni. E pensare che Lapo era affiancato da un dream-team di personaggi di non poco conto che non lo hanno fermato in tempo. In cima alla piramide c’è John Elkann, che era anche un ex-azionista con il 7 per cento. E aveva mandato il suo solito uomo con compiti di sorveglianza: «il Contabile» di famiglia, il commercialista Gianluca Ferrero, oggi presidente della Juventus. Oltre a lui, Maria Giovanna Dossena entrata nella società di Lapo con una quota del 25 per cento col fondo Avm. Nell’agosto scorso, la business woman è diventata socia al 20 per cento della holding Fenice, che raggruppa le iniziative imprenditoriali di Chiara Ferragni con grande giubilo della stampa orobica che ha titolato entusiasticamente: «Una bergamasca diventa socia di Chiara Ferragni». La Dossena, 64 anni, tra l’altro risulta docente all’Università di Bergamo ed è arrivata perfino a censurare il proprio dettagliatissimo curriculum sul sito dell’ateneo omettendo di aver lavorato fianco a fianco con Gianni Zonin al vertice della Popolare di Vicenza prima del crac.

Il dream-team - che evidentemente si è distratto senza accorgersi che Lapo stava portando alla rovina la società - si chiude con un altro 25 per cento di azioni del Vaticano e con il nome di Enrico Crasso, 74 anni, un italiano residente in Svizzera, titolare a Lugano di Sogenel Holding, ex banchiere del Credit Suisse, per 27 anni gestore del patrimonio riservato della Segreteria di Stato, che gli ha fatto amministrare 300 milioni di euro, cioè metà della cassa del Papa, in gran parte composta dall’Obolo di San Pietro cioè le offerte dei fedeli. Per questo, Crasso ha ricevuto numerose lettere di ringraziamento, l’onorificenza della medaglia d’oro del Pontificato e soprattutto ricchissime commissioni, pur avendo investito quel denaro in modo abbastanza curioso. Crasso ha usato il fondo Centurion Capital per diventare il secondo socio dell’azienda di Lapo e ha pagato le azioni 2,35 euro. Di recente risulta tra i condannati dal Tribunale vaticano nel processo intentato contro monsignor Giovanni Angelo Becciu, Raffaele Mincione e Fabrizio Tirabassi: ha avuto sette anni di reclusione e diecimila euro di multa con interdizione perpetua dai pubblici uffici per riciclaggio e un episodio di peculato.

Tutti costoro si sono serviti di Lapo o è stato lui a mettere improvvidamente il suo augusto destino nelle loro mani? Non lo si saprà certo né dallo stesso Lapo, che ha osservato il silenzio assoluto sui social in cui quotidianamente spadroneggia, né dai giornali di suo fratello. Forse aveva ragione Sergio Ricucci quando disse (in francese suona più chic): «Tout le monde est capable d’être pédé avec le cul des autres».





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