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Panorama
Февраль
2024

Disastri pubblici, guadagni privati

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Sempre meno operai all’ex-Fiat, ma invocando i soliti incentivi... Il Grillo, allora, ha deciso di fare un po’ di storia.


In principio erano Agnelli, poi sono diventati lupi. La voracità con cui gli eredi Fiat divorano risorse pubbliche per ingrassare profitti privati ha raggiunto livelli inimmaginabili. Una volta almeno c’era il paravento dell’interesse nazionale. «Quel che è bene per la Fiat è bene per l’Italia», ripeteva l’Avvocato. E tutti facevano finta di credergli, anche perché era molto chic, spiritoso, portava l’orologio sopra il polsino e sciava a St. Moritz. E, soprattutto, controllava i giornali. Adesso quel paravento è caduto.

Quel che è bene per la (ex) Fiat non è sicuramente bene per l’Italia. È bene per la Francia, visto che la società è diventata francese. Per l’Olanda, visto che la società ha la sede fiscale lassù. Per i rampolli della famiglia Agnelli, che si mettono in tasca utili sostanziosi (10 miliardi solo nei primi sei mesi del 2023). Per l’Italia no.

Infatti i dipendenti italiani dell’ex azienda italiana sono in caduta libera: erano 71 mila nel 2004, 51 mila nel 2021 (all’epoca della nascita di Stellantis con la fusione fra Fiat e Peugeot) e 42.700 oggi. Nei giorni scorsi l’amministratore delegato Carlos Tavares è stato molto chiaro: o ci date altri aiuti o ce ne andiamo dall’Italia. Un ricatto. Che, oltre a suscitare sdegno, solleva anche un dubbio: non è che questi prendono altri aiuti e poi se ne vanno lo stesso? In genere chi ricatta fa così.

Per carità: anche John Elkann è chic. Si fa fotografare con maglioncino fluo a fantasia floreale e scarpe rosa shocking in camoscio (i tempi cambiano e l’orologio sopra al polsino non basta più, ci vuole la moda fluida). È un po’ meno simpatico del nonno, però è intelligente per definizione. Nessuno ha mai capito perché, ma tocca sempre dire così anche perché pure lui, come da abitudine di casata, controlla l’informazione: infatti tre mesi prima di annunciare la fusione con i francesi (che in realtà è stata una svendita ai medesimi), cioè prima di avventurarsi nell’operazione che ha portato tanti bei soldini sui conti della famiglia e la totale dismissione dell’industria automobilistica in Italia, il giovane John s’è comprato Repubblica, giornale guida della sinistra nel Paese. Così per evitare che qualcuno protesti troppo per gli operai che rimangono a spasso. Sarà questa la celebrata intelligenza? O è il solito paraculismo?

In effetti, come spiegava nonno Agnelli, ci vuole la sinistra per fare certe operazioni. Cioè: se devi massacrare i lavoratori, non puoi farlo senza il consenso di chi dovrebbe difenderli. Anche in questo il rampollo fluido segue la tradizione. In famiglia certe cose si assorbono con il latte. Pur il parassitismo, per dire. Cioè il vivere alle spalle dello Stato. Federconsumatori ha calcolato che tra il 1975 e il 2012 la Fiat ha avuto 200 miliardi di euro dallo Stato, fra casse integrazioni, rottamazioni. sussidi e contributi vari.

Una tentazione, quella di farsi mantenere dai contribuenti, che ha radici antiche: Massimo Muchetti ha ricordato quando nel 1933 il senatore Giovanni Agnelli si presentò all’allora presidente dell’Iri Alberto Beneduce proponendogli di rilevare dallo Stato la Sip, allora concessionaria telefonica italiana. Quanto mi dai?, chiese Beneduce. No, rispose Agnelli, sono io che voglio 700 milioni di lire.

Capito? Voleva la concessione e i soldi in dote per farla funzionare. La differenza fu che Beneduce riferì il colloquio a Mussolini e lui rispose: «Non diamogli niente a questi grandi industriali. Sono solo dei grandi coglioni». Negli anni più recenti, invece, abbiamo dato loro di tutto. Nel 1986, per esempio, l’Iri di Romano Prodi cedette loro l’Alfa Romeo a prezzi assai convenienti, per evitare che cadesse nelle mani della Ford: di fatto l’Alfa Romeo è stata sventrata.

Nel 1997 il governo di Romano Prodi, sempre lui (casualmente?), cedette loro la Telecom: riuscirono a governarla comprando appena lo 0,6 per cento del capitale, il famoso «nocciolino». Ma anche lì fecero disastri e se la fecero portare via. Un bene pubblico distrutto dopo l’altro, ma che importa? L’importante è salvare i guadagni privati.

Così hanno sempre fatto. Solo che una volta, per lo meno, le loro fabbriche stavano in Italia. Adesso sempre meno. Quando hanno trasferito la sede in Olanda, l’Agenzia delle entrate ha contestato l’evasione fiscale: gli Agnelli hanno versato quasi un miliardo (980 milioni) per mettere tutto a tacere. In cambio lo Stato italiano ha stanziato 8 miliardi per l’automotive (un miliardo l’anno per otto anni) più 370 milioni per la gigafactory di Termoli. Poi ci sono gli incentivi per le auto ecologiche: è stato calcolato che il 40 per cento di quelli incassati da Stellantis se ne vanno a produzioni fatte all’estero. Tanto che importa?

Ormai si sa come va a finire questa storia: l’industria automobilistica italiana sparirà del tutto e le casse della famiglia si riempiranno di altri quattrini. E a quel punto, quando anche l’ultimo operaio sarà stato mandato sul lastrico, anche Repubblica verrà venduta. Non servirà più. E, si sa, i lupi voraci divorano tutto. Pure i giornali.





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