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Panorama
Март
2024

Cuba nel gorgo della crisi

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Sull’isola caraibica l’88 per cento delle persone vive in povertà, l’inflazione è alle stelle, non si trova il latte, il pane è carissimo. Però il governo, mentre ha deciso un aumento della benzina del 500 per cento, trova il tempo di organizzare marce contro Israele. Cronaca di un disastro sociale annunciato.

«Cuba sarebbe Haiti se ci fossero le armi che vediamo a Port-au-Prince». Lo dicono con sempre maggior frequenza a Washington analisti vicini all’amministrazione di Joe Biden, consapevoli del fallimento della politica estera di intese siglata da Barack Obama e Raúl Castro 10 anni fa. Oggi l’isola sta infatti vivendo la sua peggiore crisi di sempre. Negli ultimi 24 mesi ha registrato il più grande esodo migratorio dall’inizio della rivoluzione comunista, il primo gennaio del 1959, con 600 mila cubani arrivati negli Stati Uniti, una cifra equivalente al 6 per cento degli abitanti del Paese, che così si sta spopolando e sta invecchiando. Da febbraio manca anche il pane per i poveri, visto che il governo ha annunciato di non poterlo più distribuire a prezzi controllati (l‘equivalente di 0,03 euro a razione) e neanche «regalarlo» tramite la tessera annonaria, la cosiddetta «libreta», come finora aveva sempre fatto.

Certo, era un pane sempre più piccolo, duro e senza sapore ma da metà febbraio il ministero dell’Industria alimentare cubano ha annunciato che non può più garantire la fornitura «del cibo base della dieta cubana» spiega un giornalista dall’Avana che, per evitare guai, ha chiesto a Panorama di rimanere anonimo (è già nel mirino della dittatura). A Pinar del Río, nell’occidente cubano più povero, il pane della «libreta» dal primo marzo è riservato solo ai minori di 14 anni mentre a Santiago de Cuba, a est e dove maggiore è il malcontento, è stato sospeso fino a inizio aprile. Al solito il regime ha scaricato la colpa sul «rafforzamento del bloqueo», come il Castrismo chiama l’embargo statunitense, che però esclude alimenti, medicine e centinaia di altri prodotti, limitandosi di fatto solo ai materiali bellici e pericolosi per la sicurezza statunitense. Inoltre, l’Avana ha fatto scrivere sull’organo di regime, il giornale Granma (va in stampa solo grazie ai finanziamenti cinesi), che manca il pane per le «limitazioni logistiche che soffre Cuba nell’importare il grano da mercati lontani». Una balla clamorosa perché in realtà a Cuba «c’è farina per da affogarcisi dentro e l’unico che non ce l’ha è lo Stato». Ce lo spiega Maria Lourdes dopo aver passato la mattinata a mandare messaggi a vari contatti attraverso i social per acquistare le materie prime con cui prepara pane, pizze, torte e dolci di ogni genere. «L’offerta è così alta che basta trovare la migliore offerta, economica e logistica, per rifornire la mia attività di panetteria» racconta.

Già perché di farina abbonda il settore privato gestito dalle cosiddette nuove «Piccole e medie imprese cubane» Pmi collegate al regime che ottengono il prodotto senza restrizioni, in modo da rivendere qualsivoglia leccornia a chi può pagare a prezzi anche superiori a quelli italiani. In particolare c’è una grande Pmi «privata» di regime che possiede diverse attività gastronomiche ma che, quando si analizzano le sue pratiche per l’importazione e se ne segue la tracciabilità, ci si accorge che utilizza milioni di dollari usciti da conti statali. «Farina russa. Pagamento in dollari o euro per trasferimento all’estero e una percentuale in dollari in contanti» precisa un importatore che consegna all’Avana e a Cienfuegos ad un prezzo di 1.200 dollari a tonnellata più una commissione di 120 dollari. A rivelarlo è 14yMedio, la rivista online della giornalista Yoani Sánchez, appoggiata in Italia dai grandi media (Gruppo Gedi in primis) sino a quando Barack Obama e Raúl Castro non siglarono l’intesa di cui lei sottolineava le fragilità già nel dicembre 2014.

Secondo l’analista dissidente René Gómez Manzano «Cuba continua il suo cammino sempre più rapido verso il collasso definitivo» mentre uno studio dell’economista Emilio Morales denuncia che la crisi alimentare è dovuta alla politica economica del partito comunista cubano, che ha favorito Gaesa, il conglomerato imprenditoriale delle Forze armate rivoluzionarie, dietro il quale si celano le cosiddette «nuove Pmi». Le Piccole e medie imprese che si arricchiscono grazie ai dollari del regime a scapito della gente comune, sempre più alla fame e tanto elogiate dall’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, il socialista spagnolo/catalano Josep Borrell, lo scorso maggio, durante la sua ultima visita a Cuba quando, evidentemente, non aveva notato il disastro incombente.

Lo stesso schema del pane viene usato dal regime e da Gaesa anche per il latte (che a prezzi occidentali si riesce a trovare). Per la prima volta, a inizio marzo, il regime cubano ha ammesso di aver chiesto l’aiuto del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, che ha sede a Roma, per continuare a fornire latte ai bambini di età inferiore ai sette anni. Il Pam ha annunciato che in realtà aveva ricevuto una dichiarazione ufficiale dal governo cubano già alla fine 2023, confermando che sta già inviando quello in polvere sull’isola perché c’è «bisogno urgente» di quell’alimento. Da un lato, dunque, Cuba chiede aiuto all’Onu e impiega i dollari che ha in cassa per importare merci sotto la copertura di aziende «private» gestite dai militari che agiscono legalmente, rispettando le regole e pagando le tasse su tutto l’import. Dall’altro, alla popolazione normale, ovvero chiunque non riceva salari o rimesse in dollari, annuncia che mancano pane e latte nel mezzo della sua più grave carenza alimentare di sempre.

La situazione rischia di esplodere con un’inflazione alle stelle, le interruzioni di corrente sempre più frequenti e una «dollarizzazione» di fatto dell’economia che ha fatto crescere a dismisura negli ultimi mesi i senzatetto, gli anziani abbandonati a sé stessi, i suicidi, l’abbandono dei bambini e le malattie mentali. A questa quotidianità sempre più insostenibile per la popolazione dell’isola, dal primo marzo scorso il presidente de facto Miguel Díaz-Canel ha pensato bene (dopo una lunga consultazione con Raúl Castro) di quintuplicare i prezzi della benzina e imporre una serie di tagli draconiani, al confronto dei quali quelli del presidente argentino Javier Milei fanno sorridere. Un contesto senza precedenti, con scene di miseria per le strade dell’Avana vecchia simili appunto a quelle di Haiti e con Díaz-Canel che, per galvanizzare el pueblo, ha deciso di usare anche l’arma dell’antisemitismo, attaccando Israele e schierandosi al fianco di Hamas al pari della deputata statunitense Ilhan Omar che, durante un suo recente e quasi segreto viaggio a Cuba con una delegazione dei Democratici di Washington, ha difeso la dittatura castrista, i terroristi appoggiati dall’Iran e ribadito, come già fatto dal dittatore venezuelano Nicolás Maduro, che «Gesù era palestinese».

Così, mentre chiede il latte in polvere all’Onu, da fine febbraio Díaz-Canel mobilita fiumi di denaro e, di conseguenza, migliaia di cittadini per marciare contro Israele in tutta Cuba. La manifestazione più partecipata quella nella Tribuna Antimperialista José Martí, sul Malecón dell’Avana, con in prima fila tutto il gotha del Partito comunista cubano. Per lanciare le manifestazioni, Díaz-Canel ha anche pubblicato sui suoi social un video in cui si è riferito al «nuovo Olocausto nella Striscia di Gaza» che ha descritto come «un campo di sterminio sotto il criminale e incessante bombardamento ordinato da Israele». Insomma, mentre l’88 per cento dei cubani vive in miseria secondo una ricerca di Cuba Siglo 21 ideas a causa delle folli politiche del regime, con svalutazione della moneta nazionale e alti prezzi, con uno stipendio medio mensile equivalente a 14 euro, quello minimo (di cui si discute tanto in Italia) fermo a 7 euro e le pensioni a 5 euro, il regime si pone oggi come priorità l’organizzazione di marce che fiancheggiano Hamas, con l’appoggio preoccupante di Ilhan Omar e i sempre più numerosi «compagni» statunitensi.





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