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Panorama
Март
2024

ll coleottero «mangiaboschi»

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Un tipo di coleottero, il bostrico, sta distruggendo vaste aree di alberi nelle Alpi orientali. E a facilitargli il compito sono i cambiamenti climatici. Ma fermarlo si può, riducendo le emissioni di C02 e puntando su altre specie vegetali.

Chi andrà in vacanza nelle Alpi orientali, Dolomiti incluse, non potrà non farci caso. E non sarà un bel vedere. Quel tappeto verde formato dai boschi che ricopre le montagne apparirà interrotto in più punti da vaste zone di abeti morti. La causa di questo scempio? Una prima risposta dovrebbe mettere sotto accusa il «bostrico tipografo» (Ips typographus), un coleottero chiamato così perché le gallerie che scava sotto la corteccia degli abeti formano curiosi e caratteristici «disegni». Ma la risposta più approfondita chiama in causa l’uomo che ha rotto l’equilibrio naturale dei boschi, di cui il bostrico è solo uno dei diversi attori in campo. All’inizio dell’autunno scorso i danni dovuti al bostrico hanno raggiunto quelli della tempesta Vaia (16,5 milioni di metri cubi su circa 3 mila ettari), distribuiti in diverso modo nelle Alpi orientali. In totale, il 16 per cento della massa di abete rosso risulta distrutta. Nel solo Alto Adige, il bostrico ha danneggiato 6 mila ettari nel 2021/22, cui se ne sono aggiunti l’anno scorso altri 4 mila. Allo stato attuale, nelle Dolomiti il 2,6 per cento del verde risulta decimato.

Il problema ha avuto origine quando, a fine ottobre 2018, la tempesta Vaia si abbatté con venti fino a 200 chilometri orari nelle Alpi orientali, in particolare nelle aree intorno al lago di Carezza e le Valli di Fassa e di Fiemme. Il bostrico è un piccolo coleottero di circa mezzo centimetro, da sempre presente nei boschi, che perfora la corteccia degli abeti, scava gallerie e deposita uova così da interrompere il flusso della linfa e uccidere la pianta. Quando l’albero è in salute e ha acqua a sufficienza, si difende producendo resina, che uccide il piccolo invasore irrompendo nelle gallerie che ha scavato. Ma la presenza di piante sotto stress o addirittura abbattute permette alle popolazioni del bostrico di diventare epidemiche. Proprio ciò che è successo con la tempesta Vaia, che aveva lasciato al suolo 14 milioni di alberi (soprattutto abeti rossi) in Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli- Venezia Giulia.

Un abete in buona saluteriesce a respingere nel corso dell’anno fino a mille coleotteri per metro quadrato di corteccia, ma appena 200 se c’è poca acqua disponibile. Non solo il numero di bostrici ha superato queste cifre in tante zone, ma le estati molto secche hanno creato ulteriore stress per la vegetazione. Inoltre, va tenuto presente che le uova e le larve del bostrico muoiono a temperature sotto i -10/-15 gradi persistenti per molti giorni. Ma ciò non è accaduto negli ultimi inverni miti. Andrea Battisti, entomologo presso il dipartimento Dafnae dell’Università di Padova e uno dei massimi esperti del bostrico in Europa dice: «La diffusione di questo insetto è al momento molto elevata e l’attacco di quest’anno dipenderà dall’andamento climatico, soprattutto dalle temperature invernali. Con queste dimensioni del fenomeno, i danni proseguiranno nel 2024 e nel 2025, ma poi vi sarà una fase discendente. Naturalmente, il recupero sarà tanto più veloce quanto più saremo stati bravi ad attuare politiche di contenimento».

Con questo «caveat»: non c’è molto da fare contro il bostrico. Possiamo solo aiutare i boschi a raggiungere un nuovo equilibrio. «La situazione è stata già discussa in un tavolo tecnico a livello nazionale e sono arrivati i finanziamenti per mettere in atto le contromisure. Il problema di fondo sappiamo qual è: riscaldamento globale significa temperature più alte, che favoriscono il ciclo di crescita del bostrico, e tempeste più violente con maggiore materiale di moltiplicazione per l’insetto» aggiunge Battisti. Su questo problema si può dunque solo agire a livello mondiale diminuendo le emissioni di CO2. « Ciò che possiamo fare noi è, prima di tutto, favorire la crescita di piante giovani, perfettamente in grado di resistere all’attacco del bostrico. Bisogna poi aumentare il numero di specie all’interno dei boschi alpini. La presenza massiccia di abeti rossi nelle Alpi orientali si deve alla politica attuata dai governi del passato. Favorirono questa specie perché cresceva in fretta e aveva più un maggiore valore economico. Bisogna invece privilegiarne altre, come il larice, che non viene attaccato dal coleottero».

Nel frattempo sono state predisposte centinaia di trappole sia in Trentino-Alto Adige sia nel Veneto. «Non servono a combattere l’insetto, ma a monitorare la situazione e capire dove è necessario agire. La natura offre già un antagonista naturale al bostrico: il cleride formicario, un coleottero che lo preda. Sappiamo che è presente in tutte le aree interessate, e che sta lavorando». Dunque c’è spazio per l’ottimismo? «Direi di sì» conclude Battisti. «Tra una decina di anni non vedremo più i danni ai boschi.Non saranno comunque più quelli di prima, bensì altri, con altre specie, altre forme e forse perfino altri colori. Come del resto saranno destinate a cambiare molte cose nell’era del riscaldamento globale».





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