Capelli: la ricrescita che verrà
Rigenerare una chioma su teste ormai calve è quasi impossibile. Con questo obiettivo la ricerca sta sperimentando (oltre ai farmaci) alcune tecniche all’avanguardia come organoidi, trattamenti a base di piastrine e vaccini a mRna.
Era un problema di vanità (e virilità) già per gli antichi Egizi, che contro la calvizie usavano zoccoli d’asino macinati assieme al grasso di ippopotamo e vigorosamente strofinati sul diradato cranio. Rimedi così diffusi da apparire in numerosi testi medici del 1550 a.C. Sembrano assurdità primitive, eppure ancora oggi, tra olio di rosmarino, rulli, caschetti laser, tuorlo d’uovo, patch, banca dei follicoli e altri rimedi assortiti, avere la meglio su una testa liscia è quasi impossibile. «In fondo sono soltanto capelli» si sentono ripetere da sempre i calvi - tra il 50 e il 70 per cento degli uomini oltre i 50 anni - che ogni mattina osservano allo specchio l’inesorabile avanzata. Certo, nella vita c’è di peggio, ma come scrive Andre Agassi nella sua autobiografia (il grande tennista ha sempre sofferto di alopecia androgenetica), perdere i capelli è un po’ come «smarrire piccoli pezzi di identità».
Ma perché la scienza, che riesce a vincere guerre complicatissime, non viene a capo di questa piccola battaglia? Cosa c’è di così complicato? «Il bulbo ha una struttura tra le più complesse e particolari del corpo umano» spiega Fabio Rinaldi, specialista in Dermatologia e direttore scientifico del laboratorio Hmap (Human microbiome advanced project) di Milano. «Così tanto da essere diventato un modello per studiare risposte immunologiche e malattie infiammatorie; e così “originale” da poter reagire agli ormoni - e quindi diradarsi - senza che la donna con alopecia sia già entrata in menopausa. Il capello si eleva quindi dal mero discorso estetico e diventa una strada per la ricerca medica e clinica».
Così, siamo riusciti a clonare parti fondamentali del corpo come il fegato o il miocardio, ma non il capello: perché nel bulbo è tutto difficile: «È composto da tre cellule che lavorano insieme: papilla dermica, fibroblasti e cheratinociti» continua Rinaldi «ma per attivarle tutte insieme serve un’interazione, una regia a base di enzimi, fattori di crescita e altri elementi. Se ciò non avviene, il bulbo non si avvia e il capello non cresce. È l’unico apparato del nostro corpo che modifica l’aspetto vascolare a seconda del suo stato, e che cambia la propria struttura nervosa». Ancora convinti che siano «solo capelli»? No, certo, e lo confermano tutti i trial scientifici avviati un po’ ovunque per superare il problema, e quanto ogni anno spendano le persone per girare il mondo - quasi sempre in direzione Turchia - per un trapianto di chioma che, ben che vada, ricorderà alla fine la pelliccia dell’alpaca o il cranio inquietante dei bambolotti anni Ottanta.
«Nel trapianto dei capelli» precisa Andrea Spano, specialista in chirurgia plastica ed estetica e fondatore di The Clinic, a Milano «si “spostano” i capelli da una parte del cranio dove ce ne sono di più a quelle dove sono assenti o diradati. Per quanto si sia esperti e si cerchi di posizionarli vicini tra loro, il rischio è sempre quello che appaiano “isolati”. Inoltre l’effetto del trapianto va mantenuto, è un percorso lungo: si devono effettuare cicli di Prp (Plasma ricco di piastrine, ndr) e vitamine, occorre seguire il decorso in ogni sua fase, ricordando sempre che anche i capelli trapiantati vanno incontro a diradamento». La ricerca sta cercando di trovare risposte anche molto originali. Per esempio all’Università di Harvard, negli Stati Uniti, al ricercatore Karl Koehler è successo che, mentre cercava di fare altro (come spesso succede nel campo della scienza) ossia di coltivare con le staminali una cellula dell’orecchio, ha creato un «organoide» della pelle: cioè una ricostruzione in vitro dell’organo, comprensivo dei bulbi piliferi. Koehler ha dichiarato alla rivista inglese New Scientist che all’inizio questi lembi di pelle erano stati considerati da lui e dal suo team come effetti collaterali indesiderati, «un’erbaccia nel giardino, da cui cercavamo di sbarazzarci», salvo poi pensare che trapiantandoli avrebbero potuto in qualche modo aiutare i calvi.
«La ricerca sugli organoidi» afferma Rinaldi «è molto interessante, ma non ha ancora portato a risultati concreti. È vero che sono stati ricostruiti i bulbi, ma non si sono dimostrati capaci di vivere. Al momento io, che ho perso i capelli tantissimi anni fa, quando non c’erano terapie, utilizzerei fattori di crescita biotecnologici e minoxidil orale». Proprio il farmaco minoxidil, assieme alla finasteride, costituisce il «qui e ora» del trattamento della calvizie: utilizzati inizialmente il primo come antipertensivo e il secondo per l’iperplasia prostatica, hanno buoni effetti nel bloccare l’avanzata dell’alopecia: «Ci sono anche trial molto interessanti» aggiunge Giovanni Schiavone, responsabile medicina e chirurgia rigenerativa dell’IRCCS Istituto Dermopatico dell’Immacolata di Roma, «sia sulle terapie biologiche a base di derivati del plasma ricco di piastrine, e sulle infiltrazioni di molecole di dutasteride, per contrastare la miniaturizzazione del capello». Mentre per chi soffre di alopecia areata, malattia autoimmune che può portare alla calvizie totale in breve tempo, è stato da poco approvato dalla Fda, negli Stati Uniti, un farmaco a base di ritlecitinib in grado di far ricrescere oltre l’80 per cento di capelli in questi pazienti.
Nel campo della prevenzione ecco HairClone, startup fondata dall’imprenditore Paul Kemp, che consente di prelevare un centinaio di follicoli giovani, congelarli a -150 gradi e metterli «in banca». Dovessero «venir buoni», in futuro, per sopravvenuta alopecia, possono essere scongelati, clonati e reimpiantati, sperando di poter rigenerare un cranio destinato alla desertificazione. La moda è scoppiata negli Usa, dove in molti si rivolgono a HairClone per congelare i follicoli dei figli adolescenti, ma nessuno dei clienti ha già effettuato il re-impianto, che rimane pertanto un’incognita. Poteva mancare la ricerca che utilizza la tecnica dell’Rna-messaggero? No, e infatti alla California University l’équipe del biologo Maksim Plikus sta testando la proteina Scube3: il progetto è quello di iniettare un vaccino a mRna per ordinare all’organismo di rilasciare questa proteina, che secondo i suoi studi potrebbe funzionare da attivatore della moltiplicazione dei follicoli piliferi e della crescita dei capelli. La ricerca, pubblicata sulla rivista Developmental Cell, sta tuttora proseguendo.
Infine ci sono i caschetti laser, chiamati LLLT, sia portatili sia fissi, come quelli utilizzati dal parrucchiere: «Al momento vengono autorizzati solo dall’Fda americana» conclude Schiavone. «Al loro interno sono contenuti laser e diodi a bassa intensità: si tengono per circa un quarto d’ora, ogni 48 ore, e hanno lo scopo di “risvegliare” i bulbi piliferi, e far crescere capelli più sani, forti e resistenti». Calma, però: in Europa ancora non possono arrivare, cosa che sta alimentando un mercato parallelo di acquisto durante i viaggi oltreoceano, e magari come souvenir ci si porta un caschetto. Spiando poi ogni mattina se sul cranio lucido si intravede qualche piccola ombra in più.