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Panorama
Апрель
2024

Italia in prima linea: avamposto Africa

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La presenza dal Niger al Golfo di Guinea, e poi in Libia e in Tunisia. I nostri militari nel continente sono quasi 1.700, impiegati in oltre una dozzina di missioni nazionali o internazionali. Tra gli obiettivi, la collaborazione con le forze locali e l’assistenza nel contrasto del traffico dei migranti. Un coinvolgimento fondamentale anche per attuare il Piano Mattei.

A fine marzo è terminata la ristrutturazione della Grande moschea di Niamey: lavori di rifacimento e installazione di nuovi climatizzatori. Il tutto donato dagli italiani della Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger (Misin). Il generale Massimo Marceddu, in mimetica e scalzo, nel rispetto dell’Islam, dispiega all’inaugurazione, il 9 aprile, la bandiera della missione assieme ai dignitari musulmani come lo sceicco Djibril Djermakoye Karanta. «Ogni soldato della Misin mette il cuore in quello che fa per questo bel Paese» dichiara l’alto ufficiale. Due giorni dopo un cargo Il-76 atterra all’aeroporto di Niamey con ben altro approccio. Un centinaio di istruttori russi dell’Africa Corps sbarcano nella capitale del Niger con un sistema di difesa anti aereo, probabilmente il Pantsir S2, per la giunta golpista. «Siamo qui per addestrare l’esercito nigerino e sviluppare la cooperazione militare tra Russia e Niger» dichiara, senza giri di parole alla tv locale, uno dei militari con il solito volto coperto.

Fra gli avamposti in Africa delle nostre missioni, quello in Niger è fra i più importanti e delicati. Tassello di un puzzle di operazioni militari dal golfo di Guinea alla Somalia passando per Tunisia e Libia, ma anche in Mozambico e con una base a Gibuti. Un reticolo per contrastare il terrorismo jihadista, favorire la lotta all’immigrazione illegale e stabilizzare le regioni dell’area coinvolte nel Piano Mattei. Più di una dozzina di missioni per un totale di appena 1.660 uomini, molte parcellizzate con numeri esigui, che costano circa 166 milioni di euro l’anno. «Avremmo dovuto concentrare ancora di più le nostre forze in zone di interesse nazionale» dice a Panorama il generale in ausiliaria Marco Bertolini. «La Libia è entrata nell’orbita dei turchi. E anche in Somalia la fanno da padrone». In Niger rischiamo di restare gli unici occidentali con l’arrivo degli ingombranti russi. La giunta golpista del generale Abdourahamane Tchiani, dopo il colpo di Stato del 26 luglio scorso, ha cacciato i francesi, presenza storica, e sta dando il ben servito anche agli americani.

Lo sbarco dei russi a Niamey è stato suggellato il 26 marzo dalla telefonata fra il generale Tchiani e il presidente Vladimir Putin, che ha gettato le basi di una «cooperazione strategica e multi-settoriale». Inoltre, gli investimenti cinesi nel Paese sono all’apice. I golpisti hanno rotto con l’Occidente, a parte l’Italia. La missione di supporto aveva già addestrato, prima del rovesciamento del governo, 9.235 militari e poliziotti delle forze di sicurezza nigerine. E c’è anche una missione simile in Burkina Faso con 50 uomini, altro impegno con una giunta frutto di un rovesciamento militare. Dopo avere superato le ritrosie politicamente corrette di Bruxelles, gli italiani sono rimasti in Niger rappresentando l’unico baluardo europeo in un quadrante tanto cruciale. La ripresa delle attività di addestramento è stata ufficializzata dalla recente visita a Niamey del generale Francesco Paolo Figliuolo, che guida il Comando operativo del vertice interforze, e l’ambasciatore Riccardo Guariglia, segretario generale della Farnesina. Il 28 marzo è arrivato in Niger il direttore dell’Aise, i servizi segreti esteri, generale Giovanni Caravelli.

Una «realpolitik» voluta da Palazzo Chigi e illustrata da Figliuolo l’11 aprile ai parlamentari: «L’Italia è l’interlocutore privilegiato del Paese, che continua ad essere il crocevia di tutti i flussi migratori sia dal Sahel sia dal Corno d’Africa. Il Niger è pertanto un’area di prioritario interesse nazionale: per tale motivo, e nella considerazione che un’eventuale uscita delle nazioni occidentali lascerebbe “spazi di manovra” all’allargamento della presenza di altri attori nella regione, come avvenuto in Mali e in Burkina Faso, riteniamo di primaria importanza consolidare la nostra presenza». Nel 2024 i militari italiani verranno raddoppiati, arrivando a 500 con cinque elicotteri e aerei, per un costo di 58,2 milioni di euro. La costruzione della base presso l’aeroporto di Niamey è quasi ultimata. Questi avamposti nel Sahel contribuiscono «sinergicamente all’implementazione del Piano Mattei, che con strategie di cooperazione paritetiche e innovative, apre a nuove opportunità e a forme di collaborazione con i Paesi ospitanti» ha sottolineato Figliuolo.

Le autorità nigerine, dal canto loro, assicurano sul prossimo avvio del processo di democratizzazione. Anna Bono, esperta dell’Africa fin dagli anni Ottanta è però scettica: «La giunta ha abrogato la legge che perseguiva i trafficanti di uomini e subito le loro attività sono riprese. In Sudan è dal golpe del 2019, in Mali da quello del 2020, in Burkina Faso e in Guinea Conakry dal 2022, che si aspetta l’avvio della transizione democratica promessa». I migranti che passano dal Niger arrivano in Libia, dove abbiano un’altra Missione bilaterale di assistenza e supporto (Miasit) con 200 uomini. Costo, 25 milioni. Il comandante è il generale Dario Missaglia e fra gli obiettivi ci sono «l’assistenza e supporto addestrativi e di “mentoring” alle forze di sicurezza libiche per le attività di controllo e contrasto dell’immigrazione illegale».

Ad Abu Sitta, base navale di Tripoli, è ormeggiata nave Gorgona che appoggia la Marina libica nelle riparazioni e forniture tecniche. «I turchi hanno fagocitato tutto. La presenza militare addestrativa italiana è un po’ di facciata» dice una fonte di Panorama a Tripoli. «Più utile la missione dei tecnici della Guardia di finanza (11 specialisti, ndr) che riparano le motovedette utilizzate per intercettare i barconi dei trafficanti». La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha visitato Tunisi, per la quarta volta in un anno, il 17 aprile. Il giorno prima è stata annunciata la nomina di Giuseppe Perrone, che ha guidato le nostre rappresentanze diplomatiche a Tripoli e Teheran, ed è stato ambasciatore dell’Unione europea in Tunisia. La Difesa vuole potenziare la missione «bilaterale di cooperazione» che per ora schiera solo 15 uomini, ma dovrebbe fornire supporto ai tunisini per la costituzione di tre comandi regionali. Quello al sud prevede «capacità di pianificare e condurre operazioni “joint” di contrasto al terrorismo e controllo delle frontiere». Bono auspica un coinvolgimento più incisivo e sottolinea che «la Tunisia ha un interesse comune con l’Italia per contrastare l’immigrazione illegale. Bisogna lavorare sui confini meridionali da dove arrivano i subsahariani. La collaborazione deve essere militare e puntare al controllo delle frontiere terrestri. Va evitato che i migranti entrino in quel Paese affacciato sul Mediterraneo».

Sul fronte del mare manteniamo il Dispositivo nazionale aeronavale nel Golfo di Guinea (11,9 milioni di euro) e abbiamo il comando della missione Atalanta contro la pirateria al largo della Somalia con il contrammiraglio Francesco Saladino a bordo di nave Martinengo (19,6 milioni di euro). Gli avamposti storici sono le operazioni Onu nel Sahara occidentale e penisola del Sinai, ma quest’anno parteciperemo con 15 militari anche alla missione Ue in Mozambico, nazione di punta per il Piano Mattei. Nel Corno d’Africa, zona storica di interesse nazionale, siamo al comando della missione europea a Mogadiscio e grazie alla strategica base di Gibuti addestriamo i darwish, le unità di élite della polizia somala e la gendarmeria locale. «Riuscire a fare da ponte fra l’Europa e l’Africa è un ruolo fondamentale che avevamo messo in secondo piano rispetto ai governi della prima Repubblica» osserva Bertolini. «Non possiamo svolgere una politica di grande potenza, ma il “soft power” anche attraverso piccole e importanti missioni militari è strategico in vista del Piano Mattei».





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