Le solite scuse di chi dice «no al ponte»
Come ogni volta, appena si parla di un’opera pubblica, spuntano comitati ed esperti che si schierano contro e ti spiegano non solo l’inutilità dell’investimento, ma anche la sua dannosità. La storia, su altre grandi opere realizzate (Mose, Tap) dice l'esatto contrario
Ci risiamo. Come ogni volta, appena si parla di un’opera pubblica, spuntano come funghi in autunno comitati ed esperti che si schierano contro e ti spiegano non solo l’inutilità dell’investimento, ma anche la sua dannosità. Intendiamoci: capisco chi rischia di veder espropriato il proprio terreno e demolita la propria casa. Difende il proprio legittimo interesse privato contro il legittimo interesse pubblico. Capisco invece meno quelli che per partito preso sono per il «no». I loro argomenti sono sempre gli stessi: ogni volta prefigurano disastri e rischi per la sicurezza del territorio sostenendo che manchino quello studio o quella verifica.
Negli ultimi cinquant’anni, cioè da quando faccio questo mestiere, ho ascoltato le stesse obiezioni che ora sento muovere contro il progetto del ponte sullo Stretto. Ricordate la campagna per fermare il Mose, ossia il sistema di paratie mobili che doveva salvare Venezia dall’acqua alta? In prima fila c’era Massimo Cacciari, allora sindaco del gioiello urbanistico veneto. Come nel suo stile, il filosofo prestato alla politica non usò mezze parole e si schierò contro il piano con veemenza, sostenendo che oltre a essere uno sperpero, il Mose sarebbe stato un disastro per l’ecosistema della laguna. Una volta completate, si è visto che le paratie hanno salvato Venezia dalle inondazioni e nonostante le preoccupazioni, l’ambiente non è stato affatto sconvolto. Anzi: intorno alle opere del grande impianto si sono sviluppate una flora e una fauna ittica che oggi sono oggetto di studio. Insomma, di vero nelle preoccupazioni dei tanti comitati No Mose non c’era nulla.
Ma nei miei ricordi non c’è solo la contestazione contro l’opera di Venezia. Una quindicina di anni fa, mentre Napoli era invasa dall’immondizia, si sviluppò il dibattito sull’utilità o meno del termovalorizzatore di Acerra per smaltire i rifiuti. Anche in questo caso si mobilitarono comitati, forse anche con l’aiuto di qualche organizzazione che aveva interesse a mantenere le cose come stavano perché con la monnezza aveva modo di guadagnare milioni. In tv si sprecarono ore in discussioni e ho memoria di gente che portava le cartelle cliniche dei familiari per dimostrare davanti alle telecamere che un impianto di smaltimento della rumenta avrebbe aumentato la già alta incidenza dei tumori. Sono trascorsi anni, il termovalorizzatore di Acerra è stato realizzato e non solo funziona a meraviglia, ma ha contribuito a togliere dalle strade di Napoli i sacchi di rifiuti. E il Tap? Ve le ricordate le polemiche sul gasdotto Trans-Adriatico che da Shah Denis, sul Mar Caspio, porta il metano fino a Melendugno, in Puglia? Secondo chi lo combatteva per impedirne la realizzazione, avrebbe provocato un disastro ambientale, distruggendo oliveti e facendo danni sui fondali marini. In realtà, la Trans Adriatic Pipeline non ha fatto alcun danno e da quattro anni pompa il gas che ha consentito all’Italia di non rimanere a secco e al freddo neppure nei momenti peggiori dello scontro con la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina.
Tutto bene dunque? No, perché se con il Mose, il termovalorizzatore e il Tap i catastrofisti non l’hanno avuta vinta, in altri casi sono riusciti a ritardare o a fermare opere che sarebbero state utili per il Paese. Pensate, per esempio, ai rigassificatori di Brindisi o di Trieste. Invocando ogni volta nuovi aggiornamenti della Via, Valutazione di impatto ambientale, i gruppi di contestatori hanno scoraggiato gli investitori e dopo dieci anni di attesa, sia gli inglesi di British gas che gli spagnoli di Repsol hanno desistito, rinunciando a investimenti di mezzo miliardo di euro e ad assunzioni di centinaia di persone. E il termovalorizzatore di Roma? Nel 2008, la Fondazione Smith mi invitò a moderare un dibattito al Tempio di Adriano. C’erano esperti che illustrarono come impianti del genere funzionassero a meraviglia in molti Paesi, ma i critici non si fecero convincere, così la struttura che dovrebbe togliere la spazzatura dalle vie della Capitale è di là da venire. Ovviamente potrei continuare, ma credo che gli esempi siano sufficienti.
Adesso dicono che il Ponte non sia utile, anche se ci sono fior di studi che garantiscono gli effetti sul Pil della Sicilia e della Calabria. Spiegano che nessuno ha valutato le conseguenze in caso di terremoto, sebbene sia una delle prime questioni che gli esperti hanno preso in esame. Addirittura sostengono che pur avendo una campata lunghissima non ci sia uno studio tecnico sulla resistenza ai venti che soffiano fortissimi nel canale. Anche questo problema ovviamente è stato preso in considerazione, calcolando l’impatto di scirocco e libeccio che soffino a 300 chilometri l’ora, sebbene da quelle parti non sia mai stato registrato un vento superiore ai 150.
La realtà è che quando ti puoi opporre per partito preso a qualche cosa, tutte le scuse sono buone. Anche quella secondo cui sarebbe meglio impegnarsi in altro, impiegando le risorse stanziate per rifare le ferrovie interne dell’isola o per accorciare le code dei malati che attendono una visita medica. Cioè per realizzare quello che in mezzo secolo la politica non è riuscita o non ha voluto fare. Il problema è che se utilizzassimo per i treni o per gli ospedali locali i soldi del ponte, i politici si mangerebbero anche quelli, come si sono mangiati tutti i denari che nel passato erano destinati alle opere pubbliche. Infatti, per far sparire qualche cosa non c’è niente di meglio che disperderlo in mille rivoli.