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Май
2024

Ultima fermata Ruanda

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Accoglie i migranti di Regno Unito, Israele e Danimarca. Ci investono i tedeschi. La sua crescita economica è impressionante. Ascesa del piccolo Paese cui l’Occidente guarda con favore nonostante un presidente «ingombrante».

Lo chiamano il «Putin dell’Africa», ma è il miglior amico dell’Occidente. Paul Kagame, presidente del Ruanda ormai da un quinto di secolo, è sempre più ben accetto dalle cancellerie europee, come dimostra la scelta di Londra di affidare proprio al governo ruandese l’accoglienza dei richiedenti asilo non idonei a entrare nel Regno Unito. Per comprendere come sia stato possibile, bisogna seguire proprio la parabola di Kagame che, in questo lungo periodo al potere, è stato sì accusato di violenze politiche, pugno di ferro e leggi ad personam; eppure, proprio grazie a lui il Ruanda contemporaneo si è rivelato un partner fidato sia politicamente sia economicamente.

Con oltre 13 milioni di abitanti (di cui il 70 per cento sotto i 30 anni), il piccolo Paese senza sbocco sul mare è una «Singapore d’Africa» giovane, dinamica e in crescita sostenuta: in media nel decennio fino al 2019 si è aggirata intorno al 7,2 per cento, con il Prodotto interno lordo pro capite aumentato del 10,9 per cento nel 2021. Forte di questi risultati, Paul Kagame aspira ora a un salto di qualità, puntando a trasformare il suo Paese in una realtà a reddito medio entro il 2035 e ad alto reddito entro il 2050. Ci riuscirà? «Le premesse ci sono tutte» è l’opinione di Rocco Bellantone, africanista per Nigrizia, il mensile dei missionari comboniani dedicata al continente africano. «Intanto, è merito suo se il Paese è riuscito a risollevarsi del genocidio di metà anni Novanta: quando cioè il Ruanda patì lotte intestine che culminarono in una mattanza di 800 mila ruandesi di etnia Tutsi, barbaramente uccisi dalle forze Hutu allora dominanti, in appena cento giorni. Dopo tre decadi, il nome “Ruanda” non è più associato soltanto alla violenza genocida».

Al contrario, Kigali ha lavorato con successo per ricostruire la propria immagine partendo da una serie di iniziative commerciali e diplomatiche che guardano all’Europa quale interlocutore privilegiato per ridurre povertà e disuguaglianze. Subito dopo i massacri del 1994, Kagame con il suo esercito ribelle del Fronte patriottico ruandese (Rpf) ha ottenuto il potere, e pochi anni dopo, nel 2000, il Parlamento lo ha eletto presidente. «Da allora ha sempre vinto le elezioni, l’ultima nel 2017, mentre quest’anno è in corsa per la riconferma, scontata» ricorda Bellantone. Che aggiunge: «Se dalla seconda metà degli anni Ottanta Kagame ha beneficiato dell’aiuto del presidente ugandese Yoweri Museveni, al quale l’Occidente ha sempre guardato con favore, oggi il vento inizia a spirare a favore del primo. Le recenti aperture di Macron prima e di Sunak poi, indicano che entrambi individuano in lui il successore “naturale” di Museveni».

È dunque grazie alla stabilità politica da lui costruita se oggi il Ruanda è una delle economie africane in più rapido sviluppo. Ed è il motivo per cui ormai si candida a essere la sponda centrafricana più affidabile, tanto in ambito economico quanto militare. Mentre, infatti, Kagame dispiega senza problemi truppe ruandesi laddove gli europei non vogliono più andare (Mozambico, Repubblica centrafricana, Benin), al contempo investe le donazioni occidentali in maniera efficiente: non uno scandalo o episodio di corruzione sinora hanno macchiato la reputazione del governo. In molti ne sono compiaciuti, come dimostrano i delicati accordi sui migranti che il governo di Kigali ha stretto con vari Paesi. A partire dal Regno Unito, con il premier Rishi Sunak che ha scommesso il tutto per tutto sull’affidabilità di Kagame. Non è stato un salto nel buio, però: quel piano ha preso corpo dopo che il presidente aveva già stretto simili accordi con altri partner internazionali. Dal 2013 al 2018, anche Israele aveva inviato in Ruanda cittadini eritrei e sudanesi richiedenti asilo, affinché le loro richieste venissero esaminate in Africa. Nel solo 2017, sono stati circa quattromila i cittadini eritrei e sudanesi spediti da Gerusalemme nel cuore dell’Africa.

Nel giugno 2021, invece, era stata la Danimarca ad approvare una legge che le consentiva di trasferire i richiedenti asilo in Paesi al di fuori dell’Unione europea, mentre le loro richieste venivano esaminate. Copenhagen ha firmato un memorandum d’intesa con il governo di Kagame sulla cooperazione in materia di asilo e migrazione, pur se poco applicato. Al contrario dell’accelerazione britannica, che prevede già per luglio la ripresa dei voli charter tra Londra e Kigali: anche se non c’è un limite al numero di persone che il Regno Unito intende trasferirvi, il governo ruandese stima non più di mille arrivi in cinque anni. Dunque, l’ex colonia belga torna sotto i riflettori europei e delle Nazioni Unite, stavolta però per risolvere loro un problema anziché per domandare aiuto. Questo genere di accordi, infatti, piacciono molto al presidente Kagame, soprattutto perché a spendere sono sempre e soltanto gli altri. Per esempio, il Regno Unito ha già pagato 240 milioni di sterline al Ruanda nel 2023, su un totale previsto di almeno 370 milioni in cinque anni.

Con un tessuto economico resiliente, adattabile e orientato verso Occidente - in controtendenza con i vicini di casa Congo, Uganda, Tanzania e Burundi - lo Stato centroafricano ha dunque varie frecce al proprio arco. Se il settore dei servizi ha sostenuto più di tutti la domanda interna, e se la produzione di caffè e tè restano tra le principali esportazioni, è però la ripresa del settore industriale a promettere di contribuire maggiormerte a un’ economia già positiva: prova ne sia il colosso automobilistico tedesco Volkswagen, che ha investito qui in una linea di montaggio, vendita e assistenza (2018) e più di recente punta a costruire una più vasta catena di assemblaggio per auto elettriche. Perché anche Berlino ha scelto di puntare sul Ruanda? Intanto è uno dei principali produttori di coltan, minerale essenziale per la realizzazione di componenti elettronici: inoltre, recenti scoperte indicano la presenza di metalli da terre rare, che potrebbero diventare una risorsa economica importante in prospettiva, mentre già oggi i piccoli giacimenti di gas naturale consentono nuovi sbocchi economici e sostenibilità.

Del resto, il Ruanda da sempre ha ottime potenzialità nella produzione di energia, soprattutto idroelettrica, grazie ai numerosi fiumi e laghi. Già oltre il 75 per cento del fabbisogno nazionale proviene da fonti rinnovabili, principalmente idroelettriche appunto. In un percorso straordinario durato 15 anni, infatti, il governo di Kagame è riuscito ad aumentare l’accesso all’elettricità per le famiglie dal 6 per cento del 2009 al 75 per cento di quest’anno. Il Paese ha anche collegato il 100 per cento dei centri sanitari e delle strutture amministrative, segnando così uno sviluppo energetico capillare ed efficace, che è anche stato tra i più rapidi al mondo. Vero è che il suoi modello di guidato dal settore pubblico mostra vari limiti, visto che il Ruanda ha un debito pubblico in significativo aumento e dipende fortemente dai grandi investimenti pubblici (pari al 15 per cento del Pil); dunque, il finanziamento esterno attraverso sovvenzioni e prestiti agevolati continua a svolgere un ruolo chiave per la propria crescita. Da qui la ragione per cui Kigali ne ha sempre fame.

Il basso risparmio interno, la carenza di competenze e l’alto costo dell’energia sinora hanno vincolato e limitato gli investimenti privati. Se incentivati, però, questi ultimi in particolare potranno garantire un maggiore dinamismo nel settore privato, contribuendo a sostenere elevati tassi di impieghi di capitali. Secondo le ultime stime della Banca Mondiale, nel 2021 il tasso di povertà nazionale era ancora alto, al 36,1 per cento; ciò significa che circa 9,1 milioni di ruandesi vivono con meno di 1,90 dollari al giorno, la soglia di indigenza internazionale. Tuttavia, è «il quinto Paese più sicuro al mondo in cui camminare di notte», e difatti questo tasso varia considerevolmente tra le zone rurali (55,1 per cento) e urbane (14,5 per cento).

Intanto, le Forze di Difesa del Ruanda (Rdf) si affermano come le più efficienti dell’Africa, con una vasta presenza operativa in tutto il continente: hanno affrontato i ribelli nella Repubblica Centrafricana, svolto operazioni di contro-insurrezione contro i jihadisti in Mozambico, e presto potrebbero essere dispiegate anche in altri scenari. Anche la Repubblica Democratica del Congo li teme: da tempo Kinshasa accusa il Kagame di sostenere i gruppi armati come l’M23, che minacciano le aree grigie del confine. Lo stesso presidente congolese Félix Tshisekedi, in un’intervista a Le Figaro ha sostenuto che «Paul Kagame merita molto di più della Corte penale internazionale». Il suo omologo tuttavia tira dritto, derubricando la vicenda a illazioni di un vicino di casa geloso del fatto che «l’enorme progresso del nostro Paese è ormai sotto gli occhi di tutti».





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