Roby Facchinetti: «Nella vita ho avuto fortuna»
Settantasei anni, cinquanta da Pooh, cinque figli da tre donne diverse, migliaia di brani scritti e interpretati. A questi numeri Roby Facchinetti ne aggiunge un altro: il suo primo libro, «Katy per sempre», appena uscito per Sperling & Kupfer. Il riferimento del titolo è semplice: Piccola Katy, suo cavallo di battaglia. «L’ultimo concerto dei Pooh», racconta, «è datato 30 dicembre 2016. Scendere da qual palco è stato doloroso e faticoso. E quando mi sono chiuso in camerino e ho iniziato a leggere i messaggi, ne ho trovato uno di Katy. “La vostra musica ha raccontato la mia vita”, c’era scritto». Il libro racconta la storia di quella Katy, di tutte le ragazze che hanno attraversato gli anni ‘70 e ‘80, di una generazione, dell’Italia che cambia. Diciannove capitoli nei quali trovano spazio 19 canzoni dei Pooh. Non solo parole. L’artista bergamasco si racconta ancora una volta in note. Il libro, infatti, è accompagnato da un nuovo triplo album Inseguendo la mia musica, che comprende due cd live e uno in studio, contenente 5 inediti, tra cui Rinascerò, rinascerai, il brano molto intenso scritto durante il lockdown dello scorso marzo.
La musica, scrive, ha salvato Katy. Ma ha salvato anche lei?
«L’ho scoperta da piccolissimo, con mia madre, mancata musicista che l’ascoltava 28 ore al giorno, e da allora è diventata il mio obiettivo. Ogni tanto ci penso, e se avessi fatto altro? Avrei magari lavorato in banca o avrei fatto il pompiere, ma quel che certo è che non avrei potuto fare nient’altro con la stessa passione».
Rinascerò, rinascerai l’ha scritta nel momento più doloroso per la città.
«Sì dopo aver visto i carri dell’esercito italiano portare via le bare. Uno spavento così forte non l’avevo mai provato. Ho avuto paura di morire, ho avuto paura per i miei figli, per mia moglie. Mi sono così rifugiato nella musica, mi sono seduto al pianoforte ed è arrivata quella melodia».
Che effetto le fa oggi ripensare a quei giorni?
«Appena ne parlo, mi emoziono. E non sono l’unico, tutti i bergamaschi si commuovono al ricordo. Mi sento un sopravvissuto, sette amici sono morti. Sono morti 35 parroci, oltre 100 medici di base. Abbiamo vissuto un qualcosa che neanche nell’immaginario più malato si poteva pensare».
È padre di cinque figli, e nonno di tanti nipoti. Cosa significa famiglia?
«Non poteva essere altrimenti. Sono nato in una famiglia numerosa, sono il primo di cinque figli e ho sempre amato le grandi tavolate con mio nonno a capotavola. Quando mi dicono “Papà mi rivedo in te”, quella è la mia più grande soddisfazione».
Questo libro ha voluto dedicarlo a sua moglie, Giovanna Lorenzi, al suo fianco da oltre 30 anni.
«Ha avuto la grande sfortuna di conoscere e di innamorarsi di un musicista. Non è stato facile vivere accanto a uno come me, con la testa e piedi tra le nuvole. Lei da quelle nuvole mi ha tirato giù almeno i piedi. Credo che solo il grande amore possa tenere insieme una cosa del genere, tra noi c’è un rapporto molto profondo. Ci vuole grande pazienza anche nel sapere comprendere».
Se avesse scritto un’autobiografia, che titolo le avrebbe dato?
«Di sicuro non il titolo di una mia canzone. Un qualcosa legato alla meravigliosa e miracolosa avventura che ho vissuto come Pooh. Un qualcosa di irripetibile, è durata 50 anni e milioni su milioni di dischi. Con amore, amicizia, rispetto, concludendosi con una bellissima reunion. Avrei quindi scelto un titolo sulla mia vita meravigliosa, un titolo breve perché detesto quelli troppo lunghi. Ce l’ho: “Baciato dalla benedetta stella”. Al di là delle attitudini di ciascuno, sono convinto di aver avuto anche una grande dose di buona stella. E non mi sono mai lamentato».
Un inguaribile ottimista?
«Ho sempre pensato che se è vero che le brutte cose non sono mai sole, anche le belle accadono in compagnia. Una buona cosa se hai la capacità di trattenerla ne porta altre mille».