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Октябрь
2020

Antonino Cannavacciuolo e la Chef Acadamy: «È tutta verità»

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Lo chef, già volto di «MasterChef», torna su Sky con la seconda edizione di «Antonino Chef Academy». Perché «Investire sui giovani è fondamentale», racconta, spiegando come il programma porti con sé un messaggio urgente: «Impegniamoci tutti per uscirne prima (dal Covid-19)»
Antonino Chef Academy, la seconda stagione
Antonino Chef Academy, la seconda stagione
Antonino Chef Academy, la seconda stagione
Antonino Chef Academy, la seconda stagione
Antonino Chef Academy, la seconda stagione

«Verità». Antonino Cannavacciuolo, che nella prima serata di martedì è pronto a debuttare su Sky con la seconda edizione della sua Chef Academy, ha una sola parola da opporre alle insinuazioni di chi sostenga che in televisione niente è reale: «Verità». «Noi non siamo attori, e ogni lacrima che ci scorre sul viso, ogni momento di commozione è reale. Reali sono i tempi delle prove date ai concorrenti, reali sono gli screzi, le battute», spiega il volto di MasterChef, che lo scorso anno, dall’Accademia televisiva, ha tirato fuori un «fuoriclasse». «Davide Marzullo, fuoriclasse che un giorno sulla sua giacca avrà una stella Michelin, lavora a Villa Crespi». Perché questo prevede il format, diverso da ogni altro che si sia mai visto sulle frequenze della televisione italiana.

Diversamente da un MasterChef, dove i concorrenti sono dilettanti mossi da quel solo e potente motore che è la passione, Antonino Chef Academy è riservato ai professionisti più giovani di un settore ormai affollato. «MasterChef ha rivoluzionato la percezione della cucina, il modo in cui se ne parla. Un tempo, sarebbe stato impossibile parlare di roner, di cottura sottovuoto o fermentazioni. Oggi, la crescente popolarità del settore», dovuta, soprattutto, ad un racconto televisivo efficace, «Ha consentito a tutti noi di alzare il livello». Cosa, questa, che il quattro stelle Michelin dice essere ben visibile nel format, dove tre prove e altrettanti punteggi determinano una classifica e un vincitore finale, destinatario di un contratto premio.

Perché l’idea di creare un’Accademia televisiva?
«L’Accademia è un luogo magico, dove una persona dotata di un sapere più grande mette il proprio talento a disposizione di chi voglia imparare. In questo programma, gli studenti hanno un’età compresa tra i 18 e i 21 anni, cuciniamo con loro, li mettiamo alla prova. Diamo loro un sogno».

L’età, però, porta con sé anche un naturale istinto alla ribellione. Mai avuto atti di insubordinazione?
«Mai. Credo che l’età sia fertile: a diciotto anni, un ragazzo si trova nella fase più propizia alla crescita. Riesce ad incassare le critiche, ad imparare. Riesce a tollerare al meglio i ritmi di una cucina. È una spugna, e Antonino Chef Academy gli dà modo di assorbire e imparare».

Che valore ha oggi, con la ristorazione in ginocchio a causa Covid-19, investire pubblicamente sui giovani?
«Credo che l’investimento prescinda dal momento. Dovremmo sempre investire sui giovani, dare loro qualcosa in cui riporre le proprie speranze. Quando sento parlare di chiusura delle scuole, mi si accappona la pelle. Le scuole non dovrebbero chiudere, le accademie non dovrebbero chiudere. Dovremmo tutti puntare sui giovani».

Il momento, però, è complesso. Come ha influito sul programma?
«Abbiamo rispettato ogni norma che ci è stata imposta. Questo ci ha permesso di non portare le mascherine durante la registrazione. Io ho avuto il mio corridoio, gli studenti il loro e gli autori ne hanno avuto un terzo: nessuno è entrato in studio da una stessa porta. Siamo stati sottoposti a tampone ogni quattro giorni. Credo che questo permetta al programma di portare con sé un bel messaggio».

Vale a dire?
«Se tutti ci impegniamo nel rispettare le norme vigenti, riusciamo ad uscirne prima. Il Covid-19 non dovrebbe cambiarci, ma portarci a riflettere. Dovremmo usare la testa, sapere che possiamo evitare i mezzi pubblici affollati, che ci possiamo amare a distanza e governare la vescica in modo tale da evitare i bagni pubblici. Un’altra chiusura sarebbe una violenza».

Com’è stata la ripresa a Villa Crespi?
«Dopo i tre mesi di chiusura, c’è stata una bella ripresa. Alla fine, si è rimasti tutti in Italia e si è avuta la voglia di uscire, di andare a mangiare, di stare fuori. Io, poi, sono fortunato. Sto in un mondo felice, vicino alla Lombardia, alla Svizzera, alla Liguria. Certo, ho perso soldi, con la pandemia, ma il fallimento non dovrebbe essere vissuto così».

E come, allora?
«La prenda con le pinze, ma il lavoro dovrebbe essere vissuto come un gioco. Non perché non sia vitale, ma perché, come qualunque altro aspetto della vita, prevede una parte di bene e di male. Si vince, si perde. E quando si perde si ricomincia a giocare per tornare a vincere».

Vale anche per lei?
«Come dicevo, ho avuto delle perdite. Ho un punto vendita a Vico Lungo che è rimasto chiuso, con il coprifuoco ho perso la Lombardia, perché nessuno ha tempo materiale di venire a cena a Villa Crespi. Però, il Coronavirus ha dato slancio a progetti che, magari, senza non avrei mai intrapreso».

Tipo?
«Ho aperto un centro di produzione di dolciumi e lievitati, dolci e salati, perché chi vuole possa ordinare online i miei prodotti. Vengono spediti a casa, e non so se ci avrei mai pensato senza il lockdown».

Televisivamente, questa pandemia che rinunce le ha imposto?
«Con Antonino Chef Academy, ho rinunciato alla spesa al mercato. Ci mandavo i ragazzi, perché è importante vedere come un cuoco faccia la spesa, come tratti sui prezzi. Sta tutto lì. Quando non avevo un soldo, trattavo sui prezzi. Il risparmio che ottieni facendo la spesa è il tuo guadagno di giornata, da reinvestire nella tua struttura».

Lo scorso anno, lo show ha avuto una prevalenza di studenti maschi. Caso o specchio di una realtà?
«Caso. C’è una falsa percezione che dice che la cucina, specie se di un certo livello, sia maschile. Non è così. Il settore è pieno di donne stellate, ne abbiamo ospiti anche nello show. La cucina è femminile, ed è stata adattata al maschile. Lo dico credendoci, perché la carezza che può dare una donna al cibo, e penso soprattutto a mia nonna, non ha eguali».

Perché dare ai giovani questa possibilità?
«Perché io avrei voluto che a diciott’anni qualcuno mi desse la possibilità di stare davanti a dei mostri sacri come Vissani o Marchesi. Avere la possibilità di portare una propria idea, anche sbagliata, al cospetto di cuochi che reputo monumenti nazionali avrebbe avuto un valore immenso. Non è facile avere accesso alla cucina stellata, è un po’ come il calcio».

Cioè?
«Quanti giovani, più dotati di altri, si trovano a giocare in promozione o tra i dilettanti perché non notati da chi di dovere? La cucina stellata è così. Non ci sono tanti ristoranti stellati, in Italia. Saranno trecento, forse trecentocinquanta. E tutti vorrebbero avervi accesso».

Ma in cucina meglio Maradona o Cristiano Ronaldo?
«Cristiano Ronaldo è un gran lavoratore, Maradona ha la fantasia. Insieme, farebbero lo chef perfetto».

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