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Апрель
2024

Monsignor Savio vent’anni dopo: «Noi bellunesi lo sogniamo beato»

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Monsignor Savio vent’anni dopo: «Noi bellunesi lo sogniamo beato»

Arrivato sul Fadalto nel febbraio 2001, morì tre anni dopo. Mons. Andrich: «La malattia fu la palestra della sua vita»

Avverrà un giorno che in diocesi di Belluno Feltre si apra il processo di beatificazione per il vescovo Vincenzo Savio come lui l’ha voluto per Albino Luciani, fra l’altro strappandolo a Roma? «Personalmente lo auspico. E mi risulta che questo sia il sentimento di molti bellunesi e feltrini della diocesi. Ma l’itinerario sarebbe complesso. E richiede in ogni caso che ci sia un promotore “forte”, che si prenda veramente a cuore la causa», risponde don Davide Fiocco, responsabile dell’Ufficio Cultura e Comunicazione della Chiesa bellunese e feltrina. «L’importante», aggiunge, «è che si preghi don Vincenzo come fosse già agli onori degli altari: per le sue virtù cristiane praticate eroicament». Chi lo fa già è Aldo Bertelle, con la Comunità di Villa San Francesco. Non perde occasione di ricordare le “intuizioni” vincenziane, la “rivoluzione” che intendeva portare nelle valli dolomitiche con l’avvio del Sinodo.

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Il 31 marzo è stato il 20° anniversario della sua scomparsa, il 6 aprile ricorrevano gli 80 anni dalla sua nascita. Nominato vescovo di Belluno-Feltre il 9 dicembre 2000, mons. Savio, in arrivo da Livorno (e in un primo momento dirottato a Udine), prese possesso della diocesi il 18 febbraio 2001. Oscar De Bona, allora presidente della Provincia, lo accolse sul Fadalto e ricorda ancora con commozione “don Vincenzo”, come ancora lo chiama, gettarsi in ginocchio e baciare la terra che stava calpestando. E non nasconde ancora la sorpresa per quel monsignore vestito di rosso che incontrando i primi ragazzi li invitava a “battere cinque” con la destra. «Non sarò il padrone della vostra fede, ma il servitore della vostra gioia», disse il prelato nella sua prima omelia in cattedrale, il pomeriggio dell’ingresso.

«In quell’affermazione si riassume il magistero di don Vincenzo nei tre anni che rimase fra noi», sintetizza don Fiocco. Colpito da una grave malattia diagnosticata nell’autunno 2002, monsignor Savio morì nel vescovado di Belluno alle 8:42 del 31 marzo 2004 attorniato dai familiari e da alcuni sacerdoti; da giorni la città e l’intera provincia vegliavano in preghiera, con gli automobilisti di Lambioi che, arrivando al parcheggio o prima di ripartire, si raccoglievano in preghiera o in silenzio, alzando lo sguardo verso le finestre illuminate dalle candele e pregavano. Il giorno di Pasqua, il 31 marzo, il vescovo Renato Marangoni ha ricordato l’amato vescovo, a 20 anni dalla morte, sottolineando la coincidenza: «Lo immaginiamo nella risurrezione», ha detto. Il giorno successivo, Bertelle, davanti al Segretario di Stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin, e al vescovo Marangoni, ha invocato ancora una volta la protezione di Savio.

Ma a quando, appunto, la richiesta almeno di verificare se ci sono le condizioni per la beatificazione? «Per noi, suoi amici, la devozione non ha bisogno di questo riconoscimento. Certo, ci farebbe piacere», afferma Bertelle. «Non si dimentichi che l’apertura di questo itinerario è stata suggerita, dopo la morte, da due salesiani importanti, l’allora segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, e l’arcivescovo originario di Feltre monsignor Enrico Dal Covolo, che, tra l’altro, è stato postulatore della causa di Papa Luciani».

«Bertone, in un incontro a Belluno, invitò la diocesi a raccogliere tutte le testimonianze, sulla figura e l’opera di questo vescovo», ricorda don Fiocco. «L’ha già fatto, in buona parte, l’Associazione Amici di Savio, nata ad Osio, il suo paese, e di cui fanno parte anche numerosi bellunesi. La nostra diocesi è reduce dall’impegnativa beatificazione di Luciani. Speriamo che i Salesiani o chi altro si facciano carico di questo onore, oltre che onere».

Certo, ammette don Fiocco, Belluno deve molto a don Vincenzo: fu lui a portare da Firenze il volto di Cristo del Beato Angelico, invitando le nostre comunità a riscoprirlo nella sua profonda, vitale centralità, senza abbandonarsi ad un cristianesimo di mera tradizione. «Non dimenticherò mai», ammette don Fiocco, «che Savio soffrisse moltissimo pensando ai risultati di quell’inchiesta in diocesi dalla quale risultava che Gesù Cristo non era al centro, non era la passione dei nostri cristiani. Era davvero preoccupato».

Il vescovo emerito Giuseppe Andrich è stato il braccio destro di Savio. «Ho visto Vincenzo che calava dal punto di vista fisco, ma cresceva in lui l’amore, la passione, il desiderio di vivere quasi pronunciando quelle parole: “Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me”, ha ammesso. Il periodo più fecondo di mons. Savio è stato quello del dolore, della sofferenza. La malattia è stata la palestra della sua vita».

L’avvocato Enrico Gaz accompagna da una vita la Comunità di Villa san Francesco e, in questa funzione, ha avuto una continua interlocuzione con Savio. «Gli piaceva», svela, «la canzone “Meraviglioso”, di Modugno. Che lui stesso non mancava di cantare. Modugno si impegnò per i diritti dei disabili e degli artisti. Oltre alla melodia leggera e scorrevole, il vescovo era sicuramente attratto dal significato del testo, che considera meraviglioso perfino il dolore. Savio si rispecchiò benissimo in questo testo, non baciò forse la terra del Passo Fadalto quando per la prima volta entrò nella diocesi, non la considerava forse meravigliosa? Ma io credo che, se fosse ancora qui sulla terra, gli piacerebbe sicuramente il brano “Viva la Vida” dei Coldplay». Approfondendo, Gaz aggiunge: «Intrattenersi oggi sull’eredità spirituale del vescovo Savio significa guardare a noi stessi, al nostro coraggio di accettarne o meno il lascito. Troppo alta e originale la sua capacità di interpretazione delle istanze ecclesiali, così tesa a verificarsi,, a paragonarsi, a misurarsi con la dimensione umana del vissuto religioso. Nella sua lezione si rinvengono i frutti di un retroterra spirituale, di un vigore morale, di uno spessore culturale che ne fanno un’eccezione rispetto alla regola».





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